Qualità, sicurezza e giustizia: gli ingredienti per le politiche alimentari italiane al Festival del Giornalismo Alimentare 2018
- Redazione Artigiano in Fiera
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Nell’anno del cibo italiano nel mondo il Festival del Giornalismo Alimentare è tornato a Torino con la sua terza edizione, ospitata dal Centro Congressi “Torino Incontra” e dalle diverse location dentro e fuori il capoluogo piemontese che hanno ospitato eventi off e press tour da giovedì 22 a sabato 24 febbraio. Tante le tematiche affrontate, inclusi l’immancabile confronto tra onnivori e vegani, la sostenibilità del consumo di carne, la riduzione degli sprechi, i problemi associati al brand journalism e la deontologia del giornalista enogastronomico. Una buona parte degli interventi si è però concentrata su un altro argomento: le politiche alimentari per la prossima legislatura.
Una tematica di non poca attualità: manca infatti meno di una settimana a quando saremo chiamati alle urne per esprimere il nostro voto e decidere a chi spetterà il compito di guidare il nostro Paese. Un Paese che come ha ricordato in apertura del Festival Giorgio Ferrero, assessore all’agricoltura della Regione Piemonte, “è un grande esportatore di cibo”. Nello scorso anno il volume di esportazioni ha toccato i 41 miliardi di euro, ma a fare notizia non sono stati solo gli affari economici. Il 2017, infatti, è stato anche l’anno delle etichette, una tematica che ci ha spinto (e continuerà a spingerci) ad uscire dai confini italici non solo per vendere i nostri prodotti ma anche per rispondere alle richieste dell’Europa.
Etichette, amiche o nemiche?
Attenzione, però: l’esistenza di una normativa condivisa a livello comunitario sull’etichettatura dei prodotti alimentari non è da vivere come un ostacolo, anzi. Nonostante permangano ancora opinioni contrastanti sul tipo di etichetta migliore (a semaforo? Oppure narrante?) è parso chiaro come tutti siano concordi nel chiedere alla prossima legislatura di favorire ancora più chiarezza e trasparenza proprio attraverso l’etichettatura dei prodotti alimentari.
D’altra parte come ha ricordato Maria Letizia Gardoni, delegata nazionale di Coldiretti Giovani Impresa, l’Italia è prima promotrice dell’etichettatura di origine, uno strumento utile non solo dal punto di vista economico ma anche da quello della sicurezza alimentare. L’etichetta, inoltre, è anche uno strumento per la sicurezza nutrizionale, e da questo punto di vista c’è chi avverte la mancanza dei cosiddetti profili nutrizionali, senza i quali i prodotti possono vantare caratteristiche salutari (come la ricchezza di fibre) senza sottolinearne adeguatamente altre meno vantaggiose (come l’apporto di grassi).
Proprio per la mancanza di una normativa che regoli in modo più stretto questo aspetto, oggi i consumatori possono essere tratti in inganno da veri e propri specchietti per allodole. Accanto alle informazioni obbligatorie (tra cui sono ad esempio inclusi il contenuto di carboidrati, grassi, proteine e sale e la presenza di allergeni) ne vengono infatti spesso aggiunte di facoltative, a volte enfatizzate o generiche (come “può contenere tracce di frutta a guscio”) che rendono un cattivo servizio al consumatore. “L’etichetta dovrebbe essere il biglietto da visita del prodotto – ha sottolineato Agostino Macrì dell’Unione Consumatori – ma in realtà mi sembra che spesso diventi un cavallo di Troia in cui viene inserito un po’ di tutto”.
Caso emblematico è quello dei “senza”, sempre più presenti sulle confezioni. Dal “senza uova” al “senza olio di palma”, le versioni si sprecano. Ma non tutti i “senza” sono davvero utili. Lo sono, ad esempio, proprio il “senza uova” per chi è allergico a questo alimento, il “senza lattosio” per gli intolleranti a questo zucchero e il “senza glutine” per i celiaci, che comunque a volte vengono utilizzati per convincere i consumatori all’acquisto attribuendo al “senza” proprietà benefiche inesistenti per chi non convive con problemi di salute specifici come allergie o celiachia.
Il packaging, insomma, viene utilizzato come strumento di marketing. D’altra parte, è proprio la confezione a colpire il consumatore quando si trova di fronte allo scaffale. Capita, così, che anche l’utile “senza glutine” venga utilizzato per catturare una fetta di mercato con prodotti come la carne, che non ha nessuna necessità di essere etichettata come “senza glutine” perché per sua natura non ne contiene traccia.
Informazioni fondate sulla scienza
“Lo strumento migliore per poter scegliere, che forse è il più complesso ma su cui dovremmo investire, è la conoscenza scientifica”, ha sottolineato Pietro Paganini di Competere – Policies for Sustainable Development, think tank che ha come scopo favorire l’innovazione e la libera iniziativa attraverso analisi e occasioni di discussione tra esperti. Purtroppo, però, la mancanza di un’informazione affidata a chi ha le conoscenze adatte e basata sulla scienza favorisce il diffondersi di false convinzioni, come quella secondo cui un’alimentazione senza glutine farebbe dimagrire.
Per questo una delle altre richieste avanzate per la prossima legislatura è un’informazione basata su evidenze scientifiche. In caso contrario si finirebbe per non parlare mai di problemi seri come la resistenza agli antibiotici, gli interferenti endocrini o l’acrilammide nel cibo per dare spazio a quelle che invece non sono più che mode alimentari.
“Dobbiamo mettere più scienza nel cibo”, ha ribadito Maria Caramelli, esperta dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Secondo Caramelli è necessario un maggiore collegamento tra pancia e cervello, “metterci razionalità e ricerca”. In caso contrario, proprio perché quella italiana è una popolazione particolarmente interessata al cibo, si continuerà a temere di ammalarsi mangiando e a fomentare crisi alimentari che trasformandosi automaticamente in scandali portano inevitabilmente a una caduta di fiducia.
Cibo buono e sicuro
Altra richiesta avanzata da più parti è la garanzia di avere a disposizione cibo sicuro. Coldiretti chiede, ad esempio, di togliere il segreto dai flussi di importazione in nome del diritto dei cittadini ad accedere a informazioni che già oggi sono a disposizione dei Ministeri ma che non vengono rese pubbliche. Ma non solo. La stessa Coldiretti chiede più controlli sulla qualità del prodotto, a patto che questo non significhi solo appesantire le aziende agricole con verifiche eseguite da più enti che non comunicano fra loro.
In realtà i controlli esistono già oggi, e sono anche efficienti. I programmi di audit controllano a caduta tutto il sistema partendo dall’Europa per arrivare fino alle Asl, basandosi su linee guida grazie alle quali il sistema è ormai consolidato. Il Piano nazionale residui verifica la presenza di sostanze come contaminanti ambientali e farmaci in campioni prelevati negli allevamenti e nelle strutture di prima trasformazione dei prodotti animali e il Piano nazionale integrato mette insieme tutte le autorità che svolgono i controlli. In generale – ha sottolineato la direttrice generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione del Ministero della Salute Gaetana Ferri – le irregolarità sono poche e in diminuzione.
Quello italiano è un sistema “One Health”, che va dal campo alla tavola. Ogni giorno oltre 5 mila veterinari pubblici lavorano per tutelare la salute dei consumatori; l’adesione ai criteri di sicurezza riduce l’incidenza di infezioni negli allevamenti; e gli antibiotici possono essere somministrati solo dietro prescrizione veterinaria. Inoltre i piani europei permettono di tenere sotto controllo fenomeni come la resistenza ai farmaci, e l’etichettatura aiuta a rendere più efficienti i controlli ricostruendo la filiera il più rapidamente possibile. C’è però chi chiede di rinforzare il ruolo degli enti locali e chi auspica l’istituzione di un Ministero del Cibo per discutere in un unico luogo tutte le componenti della filiera agricola o, quantomeno, di un coordinamento istituzionale a livello ministeriale.
Al momento per chi contravviene alle regole esistono delle sanzioni che però, purtroppo, non vengono sempre applicate. Per di più come ha sottolineato Gian Carlo Caselli, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, le pene sono irrisorie rispetto ai possibili guadagni nascosti dietro alle frodi. C’è pero un dato di fatto che secondo Caselli è ineludibile: la legalità conviene. “Se abbiamo una filiera presidiata dalla legalità – ha sottolineato – abbiamo qualche prospettiva in più di avere un cibo anche giusto”.
Più attenzione alle esigenze dell’Italia
In questo panorama, quello che viene chiesto non solo alla prossima legislatura ma anche all’Europa è rispondere di più alle esigenze dell’Italia. Massimo Bongiovanni, presidente di EuroCoop, ha auspicato un’attenta tutela della voce dell’Italia e delle sue eccellenze, standard di sicurezza inclusi. Luigi Pio Scordamaglia, presidente di Federalimentare, ha invece sottolineato la necessità di affidare la gestione degli accordi a mani competenti. E Maria Letizia Gardoni ha evidenziato come sia necessario lavorare su tutti i fronti della sostenibilità, non solo economica, nutrizionale e ambientale ma anche del lavoro.
“Il rapporto tra produzione alimentare e salute è andato verso una complessità sempre maggiore e analizzare questa complessità è una sfida che abbiamo davanti”, ha sottolineato Umberto Agrimi, esperto dell’Istituto Superiore di Sanità. Attorno alla produzione ruotano problemi di sicurezza alimentare, sostenibilità ambientale, benessere animale, disponibilità alimentare e sicurezza nutrizionale, e solo raccogliendo la sfida imposta da questa complessità le politiche alimentari potranno occuparsi del cibo non solo in quanto prodotto d’eccellenza dell’Italia ma anche come diritto dei suoi cittadini.
Aspettando il Festival del giornalismo alimentare 2018: a Torino dal 22 al 24 febbraio la terza edizione
La terza edizione del Festival del Giornalismo Alimentare si svolgerà presso il Centro Congressi “Torino Incontra” della Camera di Commercio del capoluogo piemontese da giovedì 22 a sabato 24 febbraio 2018.
Per tre giorni giornalisti, comunicatori, foodblogger, aziende, istituzioni, uffici stampa, scienziati, alimentaristi e influencer italiani e internazionali potranno assistere e partecipare a incontri sul tema del cibo e dell’alimentazione. Ci saranno panel di approfondimento, eventi collaterali e laboratori ed educational sul territorio.
La novità principale di questa terza edizione è il primo appuntamento Business to Business dedicato alle aziende del food e ai professionisti della comunicazione, che vuole favorire l’integrazione tra questi due mondi. Ci saranno quindi alcuni Maestri del Gusto di Torino e Provincia da una parte e blogger, social media manager e influencer dall’altra. L’incontro avverrà il 22 febbraio dalle ore 14:30 alle 17.
Tra i panel più interessanti ricordiamo “Quali politiche alimentari per la prossima legislatura?” che si terrà nella mattina del 22 febbraio proprio in apertura del Festival. Inoltre, ci saranno confronti tra vegani e onnivori in collaborazione con la rivista Funny Vegan, panel sui prodotti eccellenti (come latte, formaggio, carne e anche l’acqua), approfondimenti sugli sprechi, sulla comunicazione delle aziende food e in particolare la gestione di crisi e le trappole del web e in particolare dei social media.
Tanti gli eventi off e i press tour: dagli aperitivi a Palazzo Birago agli showcooking e poi, ancora, educational sul territorio con la la collaborazione di Regione Piemonte, Regione Valle d’Aosta (che è la regione “ospite”), Comune di Chieri e Camera di commercio di Torino.
Il Festival del Giornalismo Alimentare è uno dei primi appuntamenti dell’“anno del cibo italiano nel mondo” che è stato proclamato dal ministero dei Beni e delle attività culturali e da quello delle Politiche agricole alimentari e forestali. L’evento gode della media partnership con Rai Radio 1.
Il report del Festival del Giornalismo Alimentare 2017
Sicurezza, sostenibilità e corretta informazione: sono queste le tematiche principali che hanno animato il Festival del Giornalismo Alimentare, evento giunto alla sua seconda edizione che ha scelto ancora una volta Torino come palcoscenico per i suoi dibattiti. Una tre giorni durata dal 23 al 25 febbraio scorsi, quando sono state chiamate a raccolta nel capoluogo piemontese le rappresentanze più diverse del settore food, dagli esperti di alimentazione a veterinari, biologi, chef, giornalisti, blogger e critici enogastronomici.
Peccato uscirne con un po’ di amaro in bocca; non perché l’appuntamento sia stato al di sotto delle aspettative, ma per il panorama dipinto dai convitati. Niente mulini che macinano grano nostrano, insomma, ma cattive abitudini che possono mettere in pericolo l’economia italiana, la salute dei consumatori (per la verità non sempre esenti da colpe) e quella del pianeta, il tutto condito da una ben poco sana disinformazione.
Mangiare, una questione di sicurezza
C’è da dire che questo Festival ha confermato la fama degli italiani come consumatori non solo di cibo ma anche di notizie che lo riguardano. Rispetto agli altri europei, gli abitanti dello Stivale sono più preoccupati per la sicurezza di ciò che mangiano, e forse è proprio questo che li porta a cercare così tante informazioni sul cibo. Alla resa dei conti, però, tanto sforzo per informarsi sembra spesso del tutto vano: anche se la normativa la specifica chiaramente, in molti non conoscono la differenza tra le due famigerate scritte “da consumarsi entro” e “da consumarsi preferibilmente entro” presenti sulle confezioni degli alimenti.
Per di più spesso a rendere pericoloso il cibo è lo stesso consumatore, che si sente minacciato dal cibo confezionato o preparato fuori dalla sua cucina senza rendersi conto che in realtà le tossinfezioni alimentari sono più frequenti nell’ambiente domestico che nella ristorazione pubblica. Basta non fare attenzione alla temperatura durante il trasporto dei surgelati dal supermercato al proprio freezer, oppure conservare male alimenti in confezioni già aperte, e il gioco è fatto: la tanto ricercata sicurezza è persa per sempre.
Quando buono è sostenibile
Il primo messaggio da portare a casa è forte e chiaro: la sicurezza del cibo dipende anche da chi lo mangia. Ma avere a disposizione cibo buono non significa solo avere del cibo sicuro. E’ questo il secondo aspetto da cui sembra impossibile prescindere: per essere buona l’alimentazione deve essere anche sostenibile, e nel complesso concetto di “buono” devono essere fatte rientrare anche tematiche come la responsabilità sociale, la cultura del territorio da cui provengono gli ingredienti che si portano a tavola e il rispetto per il lavoro di chi lo produce.
Eppure anche in questo caso la situazione è piuttosto desolante: senza opportuni interventi, entro il 2020 gli sprechi alimentari aumenteranno del 20%. Con il cibo finiranno nella spazzatura anche tutta la fatica del suo produttore e la storia del territorio da cui proviene, nonché soldi, molti più di quanto si potrebbe immaginare. Le nuove tendenze in ambito culinario possono aiutare ad evitarlo: oggi in cucina non si porta solo il cuore del cibo, ma anche i suoi scarti. Perché gettare le foglie del cavolfiore? Sono ottimi ingredienti per una vellutata! E con le bucce di patate e di carote si possono preparare invitanti chips. Anche questo è sostenibilità alimentare: non solo discutere degli effetti dell’olio di palma sulla deforestazione, ma anche fare in modo che nella spazzatura di casa finisca quanto meno cibo possibile.
Nemmeno il problema della disponibilità delle risorse è stato trascurato. Da un lato non è mancato chi ha ricordato che la necessità di sfamare una popolazione alimentare in forte crescita (leitmotiv della recente Esposizione Universale di Milano) non può prescindere da una migliore distribuzione del cibo, ma dall’altro è stato ricordato dei casi in cui le risorse non sembrano davvero sufficienti a soddisfare le richieste della popolazione. Come garantire, ad esempio, tutto il pesce che dovrebbe essere mangiato in base alle regole di un’alimentazione sana ed equilibrata e, allo stesso tempo, rifornire di materia prima i produttori di olio di pesce? Di certo non sfruttando ulteriormente le aree di pesca già in uso: già oggi l’Europa non è autonoma dal punto di vista produttivo, molto pesce arriva da altre aree del pianeta e la gran parte dello spazio marino è già sfruttato.
Informazione: miti e bufale nel giornalismo alimentare
Quando si parla di alimentazione sostenibile, insomma, ci si trova di fronte a tanti dilemmi cui nemmeno gli esperti sanno dare risposte chiare e definitive. A questa confusione si può aggiungere quella derivante dalla disinformazione, che di certo non fa un buon servizio né al consumatore, né al cibo.
Tutti, nel settore food, devono sentirsi coinvolti nel problema. La disinformazione nasce infatti sia dalle difficoltà di comunicare in modo adeguato le scoperte della scienza e le innovazioni nel settore agrario che dalla diffusione di miti e bufale, amplificata dagli stessi consumatori attraverso la condivisione sui social network di notizie non attendibili.
I riflettori sono stati puntati anche sul ruolo dei giornalisti, tema che ha diviso le platee. Terreno principale di scontro è stato un fattore che può influenzare seriamente la qualità del giornalismo alimentare: il rischio di marchette. All’orizzonte si è però stagliato anche un altro pericolo: ancora lui, il consumatore, che tiene sempre più in pugno le redini del settore food anche con le sue recensioni, temute quasi quanto quelle di famosi critici enogastronomici.
In quello che sembra un vero e proprio terreno di battaglia, un nemico comune riesce però a riunire le parti: l’italian sounding. Prodotti alimentari che richiamano il Bel Paese, con tanto di tricolori e Colosseo, ma che nulla hanno a che fare con il Made in Italy, rappresentano un danno enorme per l’economia italiana, che nessuno sembra intenzionato a subire.
(Silvia Soligon)
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