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Artigianalità e dimensioni aziendali: un rapporto complesso? Il caso della birra

artigianalita-birraL’artigianalità di una produzione è inficiata (o rischia di esserlo) dalle dimensioni aziendali? Prendendo come esempio il campo della birra, dove la contrapposizione tra produzione artigianale e industriale è molto netta, proviamo a formulare una risposta insieme al divulgatore di cultura brassicola Matteo Zamorani Alzetta, autore del libro “Il grande racconto della birra”:

La domanda è complessa… dovremmo forse chiederci se a essere inficiata è la qualità, più che l’artigianalità in sé. In Italia adesso abbiamo una vera legge che mette paletti di tipo quantitativo; negli USA per esempio, le regole sono diverse, non sono statuali, ma sono poste dalla Brewer Association. Anche lì ci sono limiti quantitativi nella produzione per essere definiti “microbrewery”: sotto i 15mila barili (tra i 17 e i 18mila ettolitri l’anno). Poi c’è la categoria “regional brewery” per chi produce fino a 6 milioni di barili.

Può una regional brewery fare una birra di qualità eccellente?

In teoria sì: la birra industriale non è “cattiva” perché prodotta in larghissima quantità o perché (idea ancora più peregrina) non sappiano farla buona; la birra industriale è scadente perché le grandi corporation producono la birra che a loro conviene produrre, al massimo risparmio sulle materie prime e sui tempi di produzione, attraverso pastorizzazione e microfiltratura per ottenere la massima stabilità. La birra industriale diventa così un prodotto poco interessante e per niente evolutivo. In più l’industria non va nemmeno a esplorare certi gusti perché sa che non sono graditi al grande pubblico, ma solo a piccole nicchie poco remunerative.

Per i birrifici indipendenti ma di grandi dimensioni, mantenere la propria filosofia di purezza diventa difficile: far quadrare il bilancio è complicato quando hai molti dipendenti, cosa che non accade nei nostri microbirrifici italiani dove lavorano sempre poche persone. Insomma il rischio di vedere prodotte birre meno interessanti, man mano che aumenta la grandezza del birrificio, è un rischio reale.

C’è anche un discorso legato ad alcune produzioni di nicchia che esistono solo in un contesto molto piccolo ed esclusivamente artigianale, dove ogni bottiglia è un terno al lotto: possono capitare bottiglie tremende, da buttare via, ma anche bottiglie meravigliose, con un fascino che un birra industriale non potrà mai avere.

La produzione su larga scala ha anche dei vantaggi, va ammesso, in particolare garantisce una costanza qualitativa, ma in questo modio gli estremi sono tagliati e la birra è, come dire, “spoeticizzata”. Un’altra ricaduta positiva è rappresentata dalla capacità di arrivare in tanti posti: negli USA si trovano birre artigianali (da regional brewery) perfino dai benzinai o nei drugstore di piccoli centri su tutto il vastissimo territorio nazionale. Quanto durerà tutto ciò? E’ molto difficile da dire, perché anche il movimento artigianale birrario statunitense è relativamente giovane, è emerso alla fine degli anni ’70. Probabilmente nei mercati più evoluti c’è spazio sia per le birre industriali (che non ci interessano!), per birre indipendenti prodotte in grandissimi numeri, ma di alta qualità e infine anche per le birre più ricercate e sorprendenti prodotte da piccoli microbirrifici.

Negli USA si legge spesso sulle etichette “birrificio indipendente”, più che “birrificio artigianale”: è la nuova frontiera dell’artigianalità?

L’indipendenza è una condizione importante e non tanto facile da mantenere! In Italia per esempio ci sono birrifici che sarebbero ancora artigianali per i numeri di produzione (secondo il limite posto dalla nostra legge nazionale) e per ora anche delle tecniche di produzione, ma non lo sono dal punto di vista della proprietà perché non sono più indipendenti. Quindi l’indipendenza è un paradigma ancora cruciale.

In Italia non c’è ancora abbastanza cultura per avere un mondo birrario sui tre livelli di cui parlavamo prima (indistriale, “regional” e micro): da noi o si rimane artigianali o si è fagocitati dall’industria. Forse tra un decennio potremo avere l’analogo della regiona brewery anche in Italia, ma oggi come oggi la contrapposizione manichea tra artigianale e industriale si può ancora sostenere.

Il futuro del movimento è imprevedibile, l’unica certezza è che l’epoca pionieristica, in cui ci conoscevamo tutti e tutti si remava insieme nella direzione dell’artigianalità, è finita. Speriamo di poter continuare a bere birra buona e non banale, dove la berremo non si sa: le cose cambieranno certamente nei prossimi anni.

 

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