Le bevande calde più diffuse che una volta erano “esotiche”
- Redazione Artigiano in Fiera
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Un tempo consumazione veloce per eccellenza, oggi il caffé diventa – come quasi tutto nel mondo del food – oggetto di degustazione. Così al caffé puro e semplice si sono sostituiti miscele e monorigini, cultivar che portano negli angoli più reconditi del continente americano, africano e indonesiano. E proprio dall’Africa bisogna partire per ritrovare l’origine di questa pianta, i cui effetti furono conosciuti da principio nella maniera più semplice: masticandola. Poi divenne bevanda, nel Medioriente, dove Avicenna e la scuola medica ne consigliavano l’utilizzo per combattere le malattie renali. Ma la storia del caffé in Europa, così come lo conosciamo oggi, è molto più recente e inizia da Venezia dove approdavano le navi battenti bandiera turca cariche di pregiati chicchi (a Costantinopoli già da secoli esistevano locali dove accomodarsi per bere il caffé). E la città dei Dogi spalancò nel Seicento le porte al caffé che da qui partì per invadere l’Europa, giungendo in pochi decenni tra i vicoli di Parigi. E negli anni carichi di paure e speranze che precedettero la Rivoluzione furono proprio i caffé ad accogliere gli intellettuali che sfidavano la nobiltà, molle e oziosa, che amava riunirsi intorno alla cioccolata, barocca e dolce all’eccesso. Leggenda vuole che l’illuminista Voltaire consumasse fino a trenta tazze di caffé al giorno, Honoré de Balzac gli dedicò addirittura parte di un trattato e – spostandosi in Germania – si dice che il compositore Beethoven dedicasse tempo e attenzione alla scelta dei chicchi per le sue tazze quotidiane. Oggi le tazzine di caffé consumate nel mondo sono circa 66miliardi e in ben 70 nazioni si chiama allo stesso modo. I più grandi bevitori, almeno stando ai freddi numeri delle quantità pro capite, sono i finlandesi (circa 10 chili), seguiti da norvegesi, olandesi, sloveni, austriaci. Al decimo posto il più grande (e storico) produttore mondiale, il Brasile. E gli italiani? Non sono neppure tra i primi dieci. Attenzione, però, i freddi numeri del consumo non devono ingannare: il Belpaese, infatti, spicca per affezione a questa bevanda, oggetto di studi, lezioni e master, sessioni di analisi sensoriale e svariati concorsi.
Rotte diverse sono invece quelle percorse dal tè, arrivato in Europa dopo secoli di storia in Oriente, dove ha il valore storico culturale che possono avere per le tavole europee vino e birra. E infatti ancora oggi la sua origine è contesa tra Cina, India e Giappone e in una delle tante leggende è chiamato in causa addirittura il Buddha. Unico denominatore comune, tra le tante versioni, la sua destinazione come bevanda da meditazione, prima di diventare alimento quotidiano per miliardi di persone. Basti pensare che in Cina è la bevanda ufficiale almeno dal VII secolo, dove venne celebrato in veri e propri poemi, mentre in Giappone la sua preparazione e il servizio furono codificati nella cerimonia del tè. L’arrivo in Europa invece – contrariamente alla tradizionale vulgata – fu opera degli olandesi che ne videro le possibilità commerciali e dal XVII secoli lo affidarono alla Compagnia Olandese delle Indie Orientali, mentre il suo successo tra i nobili inglesi si deve a una regina portoghese, Caterina di Braganza. La descrizione più bella di una cerimonia del tè occidentale è invece attribuibile a Lewis Carroll che in “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” stabilisce che è sempre l’ora del tè. Tra le ricorrenze più curiose quest’anno c’è proprio quella del compleanno delle bustine da tè: 110 anni. Ad inventarle nel 1908 fu un commerciante newyorkese Thomas Sullivan che utilizzò degli involucri di seta per spedire i campioni a un cliente. Quest’ultimo trovò che erano comode da immergere direttamente in acqua bollente. Da questo al brevetto il passo fu breve e già negli anni Venti le bustine erano molto diffuse in Usa.
In tempo di Quaresima, però, c’è almeno un’altra bevanda da ricordare: la cioccolata, che nel Seicento fu al centro di una disputa teologica raccontata in Il Papa, Nietszche e la cioccolata, saggio avvincente come un romanzo del ricercatore e biblista Claudio Balzaretti. Due secoli di trattati, lettere e studi non sono stai sufficienti a dirimere la questione: è bastata però la mancanza di una proibizione ufficiale a spalancarne le porte al consumo. La bontà ha fatto il resto.
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