I monasteri, centri ineguagliati di cultura agroalimentare
- Redazione Artigiano in Fiera
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Il Portogallo punta sui monasteri con un progetto che concede in concessione gratuita per 40 anni strutture abbandonate che altrimenti andrebbero in rovina. Il vincolo è che vengano trasformati in monasteri. Il Portogallo è infatti erede di una tradizione monastica che accomuna gran parte dei Paesi dell’area Mediterranea, come Spagna, Francia e naturalmente Italia. Una tradizione ricca anche di testimonianze enogastronomiche.
Tre secoli fa moriva uno dei monaci che più hanno contribuito alla storia del vino, un certo Pierre Pérignon che secondo la leggenda importò nella Champagne il metodo per la rifermentazione in bottiglia. Se non fu lui a inventarlo, gli si deve comunque il merito di aver codificato un metodo (osservando come proprio la seconda fermentazione fosse alla base delle apprezzate bollicine) e aver capito come la cuvée ideale fosse a base dei 3 vitigni chardonnay, pinot noir e pinot meunier.
Codificare e migliorare un metodo sono alla base dell’intervento dei religiosi nell’ambito agricolo. Uno degli esempi più fulgidi di questa storia si trova nel Medioevo, più precisamente nel 1134, quando all’abbazia di Chiaravalle della Colomba vide la luce il formaggio grana. Quello che oggi costituisce la principale tipologia di formaggio esportato dall’Italia nel mondo (basti pensare alle due grandi Dop Grana Padano e Parmigiano Reggiano) per poter venire alla luce ha avuto però bisogno di un grande retroterra agricolo e di secoli di tecnologia applicata all’agricoltura. Un formaggio prodotto da latte vaccino in grandi forme aveva bisogno di una quantità di latte importante (basti pensare che servono circa 16 litri di latte per ogni chilo di formaggio). Fondamentale fu quindi lo sviluppo di una proprietà ampia, di maggiore disponibilità di terre foraggere e quindi di un’ampia bonifica lungo il Po. E’ importante ricordare come fino a quel momento l’allevamento fosse in buona parte legato alle attività nei campi e a un’economia di pura sussistenza. Furono le grandi proprietà monastiche a permettere un’organizzazione del lavoro e una serie di grandi opere tali da portare alla nascita di questo formaggio.
Allo stesso modo la grande proprietà monastica fu per secoli un vero e proprio presidio delle conoscenze acquisite in ambito agricolo. Anche per quanto riguarda la molitura possiamo immaginare un periodo di tempo fatto di grandi progressi con la costruzione dei mulini da parte dei Romani, con tecnologie in seguito decadute durante i secoli delle invasioni e salvate all’interno dei monasteri.
Quello che torna è proprio questa idea della conoscenza, che crea il vero e proprio vantaggio tecnologico dei monasteri. Il motivo è semplice: questi erano luoghi di trasmissione culturale, dove i codice dell’Antichità venivano riprodotti, studiati e diffusi. Le conoscenze relative alla molitura e al grano non furono estranee alla nascita della birra moderna. Nell’Europa del Nord (dove il vino non era prodotto) la produzione di birra fu per secoli in mano ai monasteri dove venne elaborato il gruyt, la prima miscela di spezie, a cui poi seguì l’uso del luppolo come codificato in seguito da Hilgedard von Bingen che ne mise in rilievo la capacità di combattere la putrefazione e allungare la vita della bevanda.
Analoga importanza ebbero i monaci nella storia del vino: basti pensare alle antiche cantine dell’Abbazia di Rosazzo in Friuli o ai vini di San Colombano. Non bisogna dimenticare che molto spesso i monasteri rappresentarono luoghi di sosta, fortificati, che accoglievano i pellegrini lungo le “autostrade” dell’antichità, come la via Francigena o il Cammino di Santiago de Compostela. In questi luoghi era esercitato anche un primo soccorso medico, per cui accanto all’attività agricola, venne sempre esercitata quella di coltivazione delle erbe officinali e di ristoro lungo il cammino, testimoniato dai tanti pani del pellegrino che si trovano lungo la Penisola, caratterizzati spesso dal recare impresso sulla crosta il segno del monastero di provenienza.
Luoghi di accoglienza dei viandanti quindi, come oggi, nel marzo 2018, il governo portoghese vorrebbe ripristinare.
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