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Che cos’è il TTIP e perché si parla di fallimento

ttipIl TTIP è fallito, il TTIP è morto. È quanto abbiamo letto negli ultimi giorni sui quotidiani e in rete. Ma il TTIP, l’accordo commerciale tra Europa e Usa che formalmente si prefigge di abbattere le barriere commerciali ancora esistenti tra le due sponde dell’Atlantico, è davvero defunto? E se si perché? Prima di chiarire questo punto vediamo però da vicino che cos’è il TTIP, quali sono le ragioni dei favorevoli e dei contrari, quali i vantaggi promessi e le critiche mosse al trattato dal fronte del no a quella che era stata definita, con un certo entusiasmo, la “Nato dell’Economia”.

Che cos’è il TTIP

Il TTIP, acronimo di “Transatlantic Trade and Investment Partnership” –  in italiano tradotto con “Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti” -, ha come obiettivo dichiarato quello di integrare maggiormente i due mercati attraverso l’abbattimento delle barriere economiche e tariffarie (i dazi doganali) e di quelle immateriali fatte di regolamenti, norme e standard da seguire. Il tutto per una migliore libera circolazione delle merci nei rispettivi territori che produca più sviluppo e favorisca nuova occupazione. Un accordo che, in base alle intenzioni e agli scopi dichiarati, dovrebbe essere quindi vantaggioso per tutti, portando nuove opportunità economiche e lavorative.

Quindi qual è il problema? Secondo diversi osservatori dei negoziati in corso in realtà il TTIP si sostanzierebbe in un adeguamento delle legislazioni di Stati Uniti ed Europa alle regole del libero scambio stabilite dalle grandi aziende europee e americane. In tre anni di trattative segrete (delegate dall’Europarlamento alla Commissione Ue) su nessuno dei 27 punti del negoziato i paesi coinvolti hanno trovato un punto in comune, nessuna un’uniformità di vedute, fino ad arrivare a un prolungato stallo delle trattative, da qualcuno sperato e cercato, senza che si intraveda una possibile svolta.

TTIP “silurato”

L’epitaffio al TTIP porta la firma in calce del vice cancelliere tedesco, il socialdemocratico Sigmar Gabriel, che il 27 agosto scorso in una intervista ha affermato, senza mostrarsi per nulla deluso, che i negoziati sul Ttip “sono di fatto falliti, nonostante che nessuno lo voglia veramente ammettere”. Già la Francia aveva espresso una posizione simile e il nostro Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda aveva denunciato negoziati praticamente fermi e la mancata volontà di andare avanti.

Non è un segreto per nessuno che sia Barack Obama sia Angela Merkel sono stati tra i maggiori sostenitori dell’accordo e che le elezioni politiche previste in Germania nel 2017 giocano un peso rilevante nelle posizioni dei singoli partiti tedeschi, tanto più dopo che a inizio settembre il partito di Frau Merkel ha perso nel feudo elettorale elettorale della cancelliera (regionali in Maclemburgo-Pomerania), tra l’altro a favore di movimenti politici espressione della destra populista, mentre i socialdemocratici hanno tenuto.

Inoltre non si può nascondere che la Brexit, l’uscita del Regno unito dall’Ue (Regno Unito che è il maggior partner commerciale in Europa degli Usa) sembra annacquare i vantaggi del trattato per Washington. Naturalmente il fallimento del TTIP è una buona notizia per Russia e Cina che preserverebbero così lo status quo economico-commerciale senza doversi preoccupare delle conseguenze sui loro mercati interni e sul loro export.

Cosa sostengono i favorevoli al TTIP

In sintesi i favorevoli al TTIP spiegano che Usa e Ue sono un mercato che rappresenta il 50% del Pil mondiale e più del 30% del commercio globale, quindi eliminando le barriere si creerebbe la più grande area di libero scambio del mondo, con ben 800 milioni di consumatori. Così ripartirebbero i consumi e le esportazioni e aumenterebbe anche l’occupazione.

Cosa dicono i contrari al TTIP

Chi spinge per il fallimento del TTIP, i contrari, hanno posizioni che qualcuno potrebbe definire anti liberiste. Per i critici del trattato un mercato globale così ampio farebbe gli interessi solo della grandi aziende, a perderci sarebbero consumatori e ambiente con un arretramento generale della normativa europea in materia di tutele. In gioco ci sarebbe non solo sopravvivenza delle micro, piccole e medie imprese minacciate dallo strapotere delle multinazionali statunitensi ma anche, per certi versi, la stessa salute dei cittadini.

Le critiche più rilevanti e rischi per l’agroalimentare italiano

ttip fallito

Tra i problemi più rilevanti dell’eventuale approvazione del TTIP, le ricadute sul Pil (alcuni studi sostengono aumenterebbe di almeno 68 mld per l’Ue, altri che con il trattato il bilancio Ue perderebbe quasi 3 mld l’anno) e sulla sicurezza alimentare. In merito a quest’ultimo punto il timore è che togliendo tutte le barriere commerciali, in Europa con il tempo entrerebbero tranquillamente prodotti made in Usa oggi vietati come verdure con Ogm e anche carne con ormoni. E ancora si obietta che la tutela del made in sarebbe messa a dura prova dal TTIP.

La legislazione statunitense non presta l’attenzione di quella europea in relazione all’etichettatura e tracciabilità dei prodotti (con l’approvazione del trattato i marchi italiani protetti sarebbero scesi a 41 dai 269 attuali) il che potrebbe far aumentare ad esempio la contraffazione alimentare a scapito della qualità e delle nostre esportazioni, anche se l’eurodeputato Pd presidente della Commissione agricoltura e sviluppo rurale per la Trattativa ha assicurato che: “I principi su cui si basano i livelli di protezione dei cittadini-consumatori non sono oggetto di discussione”.

Uno studio del centro di ricerca austriaco Ofse spiega poi che nel caso dell’Italia solo il 72% delle 210mila imprese che esportano, cioè le prime dieci, beneficerebbero del trattato; le altre dovrebbero fare i conti con l’invasione del made in Usa. Altre critiche riguardano la tutela dei lavoratori (la cui mobilità sarebbe favorita dal trattato secondo i suoi fautori) che in Europa com’è noto godono di garanzie maggiori che negli States.

In materia di farmaci e tutela della salute l’accordo potrebbe provocare un rialzo dei prezzi di dispositivi medici. È vero che nel vecchio continente i prezzi sono stabiliti tra aziende farmaceutiche e governi e che i principi attivi alla scadenza dei brevetti possono essere usati per produrre farmaci generici, ma la pressione della big pharma Usa potrebbe cambiare la regole anche da questa parte dell’Atlantico.

Di contro per i sostenitori del trattato, la collaborazione tra Usa e Ue in campo sanitario migliorerebbe la sicurezza dei farmaci e dei dispositivi medici, in America ad esempio ci sono regole molto ferree per le valvole cardiache così come per le protesi. Nel settore della cosmesi invece se per le aziende italiane e francesi si aprirebbero nuove possibilità con l’accordo di partenariato, d’altra parte non si può sottacere che l’Ue ha nella sua “lista nera” 1300 sostanze ritenute a rischio per la salute, gli Usa appena 11.

La campagna italiana Stop TTIP

Tra i contrari al trattato c’è Monica Di Sisto vicepresidente dell’Associazione Fairwatch, impegnata da anni sui temi del commercio internazionale e del clima, che è anche docente di Modelli di sviluppo economico alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Fairwatch ha promosso la campagna nazionale Stop TTIP.

Secondo Di Sisto questo accordo di partenariato sarebbe pericoloso perché:

“in realtà questo trattato, che viene negoziato in segreto tra Commissione UE e Governo USA, vuole costruire un blocco geopolitico offensivo nei confronti di Paesi emergenti come Cina, India e Brasile creando un mercato interno tra noi e gli Stati Uniti le cui regole, caratteristiche e priorità non verranno più determinate dai nostri Governi e sistemi democratici, ma modellate da organismi tecnici sovranazionali sulle esigenze dei grandi gruppi transnazionali”.

Per I’Italia, sempre secondo la vice presidente di Fairwatch, i vantaggi non sarebbero rilevanti:

“Il ministero per lo Sviluppo economico ha commissionato a Prometeia s.p.a. una prima valutazione d’impatto mirata all’Italia (…) i primi benefici delle liberalizzazioni si manifesterebbero nell’arco di tre anni dall’entrata in vigore dell’accordo: il 2018, al più presto. Il TTIP porterebbe, entro i tre anni considerati, da un guadagno pari a zero in uno scenario cauto, ad uno +0,5% di PIL in uno scenario ottimistico: 5,6 miliardi di euro e 30mila posti di lavoro grazie a un +5% dell’export per il sistema moda, la meccanica per trasporti, un po’ meno da cibi e bevande e da uno scarso +2% per prodotti petroliferi, prodotti per costruzioni, beni di consumo e agricoltura”.

E ancora:

“L’Organizzazione mondiale del Commercio ci dice che le imprese italiane che esportano sono oltre 210mila, ma è la top ten che si porta a casa il 72% delle esportazioni nazionali (…). Secondo l’ICE, in tutto nel 2012 le esportazioni di beni e servizi dell’Italia sono cresciute in volume del 2,3%, leggermente al di sotto del commercio mondiale. La loro incidenza sul PIL ha sfiorato il 30% in virtù dell’austerity e della crisi dei consumi che hanno depresso il prodotto interno. L’Italia è dunque riuscita a rosicchiare spazi di mercato internazionale contenendo i propri prezzi, senza generare domanda interna né nuova occupazione. Quindi prima di chiudere i conti potremmo trovarci invasi da prodotti USA a prezzi stracciati che porterebbero danni all’economia diffusa, e soprattutto all’occupazione, molto più ingenti di questi presunti guadagni per i soliti noti. Danni potenziali che né la ricerca condotta da Prometeia né il nostro Governo al momento hanno quantificato o tenuto in considerazione”

Uno studio della Sace (società di Cassa depositi e prestiti) spiega poi che gli Usa non sono il partner potenzialmente più interessante per l’agrifood italiano (tra i fiori all’occhiello del nostro export), lo sono invece Germania, Inghilterra e l’area dei Paesi arabi. Negli ultimi due lustri le esportazioni italiane verso l’Ue sono cresciute di quasi il 70%, crescita che sarebbe fiaccata, se fosse approvato il TTIP, dall’export Usa. Sempre la Sace ricorda poi che appena lo 0,7% delle Pmi (Piccole e medie imprese) dell’agrifood europeo esporta verso gli States e il valore di beni e servizi esportati è sotto al 2% del valore aggiunto prodotto dal complesso delle Pmi dell’Ue.

TTIP fallito? Il CETA intanto va avanti

Di Sisto se da un lato plaude alle dichiarazioni sul fallimento del TTIP del vice cancelliere tedesco (“Una dichiarazione importante perché fa proprie le preoccupazioni della società civile”) dall’altro mostra cautela parlando di possibile “tattica negoziale”. “Capiremo cosa accade al Consiglio Europeo di Bratislava di settembre dove – continua la vice presidente di Fairwatch – tra l’altro, si parlerà anche del preoccupante e analogo accordo con il Canada” cioè il CETA, che dovrà però essere ratificato anche dai Parlamenti nazionali, grazie alle pressioni dal basso esercitate dalla società civile.

 

 

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