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La nuova legge sulla birra artigianale

birra artigianale

A metà febbraio del 2016 il Parlamento ha approvato un nuovo comma della legge del 1962 che regola la disciplina igienica della produzione e del commercio della birra. In questo nuovo comma è data la definizione legale di cosa si intende per birra artigianale.

Il contenuto della nuova legge sulla birra artigianale

E’ un prodotto artigianale:

  • la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti
  • la birra non pastorizzata né microfiltrata

I “piccoli birrifici indipendenti” sono intesi come imprese economicamente e legalmente slegate da qualsiasi altro birrificio, che abbiano impianti di proprietà, che non operino sotto licenza e che non producano più di 200mila ettolitri di birra l’anno.

Una valutazione della nuova normativa

Abbiamo chiesto a Matteo Zamorani Alzetta, autore del libro Il Racconto della Birra, una valutazione di questo intervento legislativo atteso da tanti anni.

Questa legge insiste molto sull’indipendenza dei microbirrifici da altri produttori di birra: è un buon punto perché in questo modo il prodotto artigianale è tenuto al riparo dalle ingerenze della grande industria. Quando un birrificio è comprato da un grande gruppo birrario, per la legge italiana smette di essere artigianale, anche se non si mette a fare birra di qualità inferiore: è giusto, perché nel momento in cui subentra una multinazionale si tratta comunque di un prodotto diverso.

Un altro punto saliente della legge sottolinea come la birra artigianale non debba essere pastorizzata: anche in questo caso è un bene, perché la non-pastorizzazione è giudicata da tutti una condizione necessaria perché il prodotto sia artigianale.

Si parla anche di “microfiltrazione”, ma in maniera vaga. Questo ha provocato molte polemiche, perché non è indicata la misura dei filtri che distinguono una filtrazione (sempre necessaria per rendere limpida la birra e eliminare vari residui) da una microfiltrazione. Questo aspetto vago è negativo.

La discriminante quantitativa, quella dei 200mila ettolitri annui, è piuttosto alta: nessun produttore artigianale italiano ci si avvicina, anche se negli USA non è un limite invalicabile. Da noi dovremo aspettare ancora un po’ di anni per vedere un birrificio che esce dalla categoria dell’artigianato per aver superato i limiti di produzione.

Uno degli aspetti che più hanno fatto discutere è l’esclusione dal novero degli artigiani di tutte le “brewfirm”, cioè quei commercializzatori di birra che ci mettono idea, ricetta, etichetta e marketing, ma che non possiedono un impianto di proprietà. Questo è un punto molto strano, perché se una “beerfirm” è fatta produrre presso un birrificio davvero artigianale, non si capisce perché non possa rientrare nella categoria anch’essa.

In generale non si tratta di una cattiva legge, è migliorabile e ha punti da rivedere, il suo vero limite è che ora come ora serve a poco: il vero passo decisivo da fare è la rimodulazione delle accise e degli aiuti fiscali per chi è definito nel nuovo comma come “birrificio artigianale”.

Accise più basse potrebbero rivelarsi un sistema di salvaguardia dell’artigianalità, perché chi oggi è tentato di vendere alla grande industria non lo fa (solo) per “monetizzare”, ma perché i birrifici sono spesso con l’acqua alla gola e sul filo del rasoio con le banche, per via dei mutui e dei finanziamenti difficili da ripagare.

Senza la rimodulazione fiscale, la nuova legge serve solo a poter scrivere “birra artigianale” sull’etichetta, cosa che prima non si poteva fare, ma non basta per essere un cambiamento davvero importante.

 

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