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Pesca con la menaica: un’attività sostenibile e per niente tutelata!

menaicaSi chiamava originariamente menaide ed era una barca che in passato solcava il Mediterraneo nei mesi primaverili, a pesca di alici. Montava la menaica, una rete a maglia unica tramandata fin dai tempi dell’antica Grecia, che pian piano ha finito con l’identificare la barca stessa.  Dopo aver servito generazioni di pescatori per secoli, qualche decennio fa, con l’avvento dell’industrializzazione, la menaica (tanto la barca quanto la rete) è stata semi abbandonata, fatta eccezione per una piccola “bolla” di resistenza nel Cilento, a Marina di Pisciotta. Oggi sono sole sei le menaiche che tra aprile e giugno escono in mare a perpetuare una tradizione di pesca antica e perfettamente sostenibile, differente in tutto e per tutto alla tecnica moderna che utilizza le reti da circuizione.

La menaica è una rete a maglia unica dove le alici vanno dentro con la testa, -racconta Vittorio Rambaldo, uno dei pochi pescatori continuatori di questa tradizione- si va a pesca al tramonto in aprile maggio e giugno, durante il periodo di riproduzione. Le alici che restano imbroccate, cioè incastrate con la testa nella rete, sono solo quelle più grandi, che si sono già riprodotte. Quando rimangono imbroccate si dimenano e perdono il sangue, tanto che quando le togliamo dalla rete sono già dissanguate. E’ questa la caratteristica principale: senza sangue le alici sotto sale non hanno sapore acido.

Qui stanno le due differenze fondamentali rispetto alla pesca con la rete da circuizione: da un lato la menaica cattura tra il 10% e il 15% del branco, in particolare solo esemplari adulti e perciò salvaguarda il branco e ne consente il ripopolamento, dall’altro offre un prodotto di qualità eccellente, impossibile da ottenere con altre tecniche di pesca (ad Artigiano in Fiera 2016 si potrà assaggiare nello stand di Vittorio e Donatella, sua moglie).

Le grandi reti a circuizione, usate dalla pesca industriale per i pesci che nuotano in branco (dai tonni alle alici) catturano branchi interi, senza distinzione tra pesci adulti o piccoli, facendo piazza pulita senza possibilità di ritorno, per non parlare dei danni che provocano talvolta ai fondali. Inoltre il pescato è buttato nel ghiaccio dove muore conservando tutto il sangue. Il seguente processo di salatura produce un mix di sangue e sale che dà al prodotto un sapore acidulo.

Abbiamo fatto analizzare le nostre alici a un laboratorio che ha registrato una qualità di conservazione perfetta fino a tredici mesi dal giorno della pesca, -continua Rambaldo- cosa impossibile per pesci pescati con tecnica diversa dalla menaica.

Tutte queste caratteristiche evidentemente positive, sia per l’ambiente che per la qualità del prodotto finito, non godono però di alcuna tutela. Si tratta di un’attività delicata sotto vari punti di vista: le menaiche sono imbarcazioni di dimensioni piccole, lunghe tra i sette e i dieci metri, che hanno bisogno di mare piatto per operare in sicurezza. Calcola Rambaldo che, nella stagione di pesca, le giornate buone per uscire siano circa trenta. Un’imbarcazione può pescare qualche decina di chili di alici a serata e quando si è particolarmente fortunati si può arrivare a un quintale. Nulla in confronto a quanto raccoglie una grande nave che pratica la circuizione:

Qualche tempo fa una nave di una grossa compagnia era nella nostra zona per pescare tonni e si è dedicata anche alle alici… beh, in una giornata hanno pescato l’equivalente di dieci anni di lavoro delle nostre sei barche del Cilento – dice il pescatore di Marina Pisciotta un po’ sconsolato.

Ci battiamo (giustamente) firmando petizioni perché giapponesi e norvegesi non ammazzino le balene nei mari artici, ma poco sappiamo di quello che avviene nel Mar Tirreno a pochi chilometri da luoghi di villeggiatura frequentatissimi come Palinuro. Tanto meno le istituzioni italiane si preoccupano di tutelare un’attività artigianale che garantisce la salvaguardia dell’ambiente e contemporaneamente produce cibo di qualità ineguagliabile. A pensarci bene è come aver vinto il primo premio della lotteria e buttare via il biglietto per incuria, ma si sa: la mortificazione del capitale culturale e umano, dalle nostre parti, è uno dei più indiscussi sport nazionali.

 

 

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