La birra tedesca e la legge sulla purezza rispettata da 500 anni
- Redazione Artigiano in Fiera
- 10 anni fa
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Reinheitsgebot! Per noi italiani suona quasi impronunciabile il nome di questa legge emanata addirittura nel 1516, ad Ingolstadt, dai governatori (e fratelli) della Baviera Guglielmo IX e Ludovico X.
Il Reinheitsgebot (o Legge sulla purezza) – esteso diversi secoli dopo in tutta la Germania – ha dato al governo tedesco gli strumenti per regolare gli ingredienti, il processo e soprattutto la qualità della birra venduta al pubblico.
L’”editto”, che rappresentò il culmine di una lunga metamorfosi di leggi (durata più di 200 anni), disciplinava la produzione della birra con l’obiettivo di estromettere le sostanze nocive e gli ingredienti essenziali per l’esclusiva e vitale produzione del pane. Non solo: ne fissava anche i prezzi assicurando in questo modo un alimento di base alla popolazione. Nello specifico, la birra doveva essere prodotta esclusivamente con malto d’orzo, luppolo e acqua.
Oggi, la legge sulla purezza non è più inclusa tra quelle tedesche, grazie anche all’avvento delle nuove norme dell’Unione Europea. Al suo posto c’è la Legge provvisoria sulla birra tedesca, (Vorläufiges deutsches Biergesetz), che permette l’utilizzo di alcuni ingredienti in passato proibiti come il malto di frumento e lo zucchero di canna.
Ma è proprio in questa circostanza che si verifica una tendenza contrapposta: infatti molte birrerie in Germania si auto-impongono il rispetto del vecchio Reinheitsgebot, in particolare per quel che riguarda gli ingredienti e il processo produttivo, in modo da usarlo come forte arma di promozione commerciale.
Ancora oggi, quindi, la birra artigianale prodotta in conformità alla vecchia legge riceve un trattamento speciale come un alimento “tradizionale” protetto, rispetto a quelli prodotti sulla base delle Legge Europea.
“Il Reinheitsgebot o editto della purezza non è certamente più un’imposizione, ma è fondamentale tenerne conto per certificare la qualità del prodotto” racconta Luca Bailoni, esperto del settore e impegnato nella distribuzione di birra tedesca in Italia.
“Molti birrifici tedeschi, soprattutto industriali, sentono ormai l’esigenza di presentare ai clienti nuove birre, oltre a quelle realizzate con ingredienti tradizionali. Basti pensare alle nuove tipologie fatte per esempio con componenti inusuali quali il limone o il pompelmo. Oppure, per risparmiare, fanno ricorso a prodotti anche esteri: è ovvio che c’è una grande differenza tra il malto o il luppolo tedeschi e quelli di altri Paesi”.
La birra, come d’altronde ogni prodotto alimentare, viene riconosciuta e garantita dalla qualità.
“Tutto questo affossa spesso il concetto di qualità! Il cliente inoltre si fa attrarre da operazioni di marketing ben fatte, anche quello italiano che storicamente è in grado di riconoscere soprattutto un buon vino invece di una buona birra”.
E in Italia? Sarebbe opportuno un Reinheitsgebot?
“Purtroppo non esiste. Sarebbe conveniente regolamentare il mercato come accaduto per il vino. Non mi riferisco solo ai prezzi, ma ovviamente alla qualità, che è la base primaria di un prodotto come la birra. Oggi infatti è un settore aperto a tutti e talvolta viene affrontato con poca passione e talvolta con approssimazione. Purtroppo non basta solo un corso per diventare mastro birraio!”
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