Dentro il prodotto: i tipi di fermentazione della birra
- Redazione Artigiano in Fiera
- 10 anni fa
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Nel corso del processo produttivo della birra, uno dei passaggi più importanti (se non il più importante) per determinare il “carattere” e il contenuto alcolico del prodotto è la fermentazione.
Abbiamo chiesto a Matteo Zamorani Alzetta, saggista, autore del libro “Il racconto della Birra” edito da Vallardi di farci una panoramica delle metodologie che si sono alternate nel corso degli anni.
Nel corso del tempo il processo di fermentazione della birra si è differenziato in diverse tipologie. A oggi possiamo contarne tre, più una che possiamo descrivere come “mista”.
Quale è la fermentazione della birra più antica?
La spontanea è la più antica ed è quella che non prevede l’inoculo da parte dell’uomo del lievito, ma si attiva in modo (appunto) spontaneo grazie ai lieviti presenti naturalmente nell’aria. Ovviamente la birra nasce con la fermentazione spontanea, ma viene abbandonata subito.
Come mai?
Perchè, anche se non era ancora chiara la funzione dei lieviti, si è capito subito che recuperando la schiuma e i resti delle lavorazioni precedenti e mettendola nel nuovo lotto di produzione si innescava questo processo “misterioso”. In questo senso, la fermentazione della birra smette di essere perfettamente spontanea.
Ci sono ancora delle zone del mondo dove viene utilizzata la fermentazione spontanea?
Una zona dove rimane da secoli la lavorazione con la fermentazione spontanea è nella zona del Pajottenland (a sud di Bruxelles) con la tipologia dei lambic, che è considerata l’anello di congiunzione tra birra e vino. In questa area, e solo qui, esistono infatti dei lieviti particolarissimi.
Quindi solo in Belgio viene utilizzata ancora oggi questo tipo di fermentazione?
In realtà, su imitazione di questa metodologia di produzione diversi birrifici artigianali in giro per il mondo fanno questo tipo di fermentazione spontanea, ma più di tipo “misto”. Infatti vengono utilizzati in parte gli stessi lieviti selvaggi che vengono usati per il lambic (della tipologia dei brettanomiceti), anche se in modo leggermente diverso.
In che senso?
Ad esempio negli Stati Uniti i lieviti selvaggi vengono inoculati scientemente (per questo motivo diciamo che è più un tipo di fermentazione “mista”). Anche in Italia c’è qualcuno che produce a fermentazione naturale, cioè aprendo semplicemente le finestre e senza aggiungere nient’altro.
Torniamo alle diverse fermentazioni della birra: il secondo tipo?
La fermentazione alta è la più antica tra quelle controllate dall’uomo. Rimane la prioritaria per il maggior numero di stili, ma minoritaria per la quantità di birra prodotta. Le Nazioni che utilizzano questo tipo di fermentazione anche in ambito industriale sono principalmente la Gran Bretagna e il Belgio, nel resto del mondo prevale la bassa, anche se la alta resta ovunque maggioritaria in ambito artigianale. Il responsabile di questa fermentazione è il Saccharomyces cerevisiae, che è un lievito studiato fondamentalmente da Pasteur.
Pasteur?
Certo. Fu il grande responsabile dello studio dei lieviti, e lo fece studiando principalmente la birra. Anche l’enologia deve tantissimo a Pasteur, perché i suoi studi e le sue teorie successivamente sono stati applicati anche al mondo del vino.
Ma oggi qual è il metodo di fermentazione della birra utilizzato maggiormente?
La bassa fermentazione della birra è la più recente. Nasce per caso in Baviera, e per questo è difficile
spiegare quando. In generale possiamo dire che i monaci che producevano la birra erano soliti stoccarla in caverne fredde. Da questo, si accorgono che i vari barili si comportano in modo diverso tra loro. Alcuni infatti avevano un gusto particolare, molto più pulito, ma questo succedeva solo rare volte. Per centinaia di anni l’uomo non è riuscito a controllare il processo che determinava questa differenza.
Da che cosa era determinata questa differenza?
Adesso possiamo dire che il risultato avveniva in alcune birre mantenute al freddo. In queste condizioni
alle volte il cerevisiae era inibito dalla temperatura ed entravano in azione lieviti differenti, della specie detta Saccharomyces carlsbergensis o pastorianus, che invece che salire per le botti, scendevano! Questo è uno dei due motivi per cui le due diverse tecniche vengono chiamate alta e bassa fermentazione.
E qual è il secondo motivo?
Ovviamente per le diverse temperature: per avere un’alta fermentazione si deve mantenere la temperatura sui 14 gradi, per averne una bassa sugli 8-10 gradi..
E quando divenne controllabile questo processo?
Nel XIX secolo quando ci furono studi scientifici sul tema, venne isolato il primo ceppo puro di Saccharomyces carlsbergensis – nei laboratori della fabbrica Carlsberg, da cui il nome – e venne adottata la refrigerazione industriale..
Fu una rivoluzione nel mondo della birra?
Certamente sì: tra il 1840 e il 1870 tutto il mondo (a parte piccoli rimasugli) europeo-continentale passa alla bassa fermentazione della birra. Ma attenzione: le prime birre a bassa fermentazione non sono birre Lager chiare, come ci immaginiamo noi oggi, ma sono birre scure. La prima birra che coniuga bassa fermentazione e malti chiari è la Pilsner Urquell, fatta a Pilsen in Boemia. Oltre a essere la prima Pilsner della storia, è anche la prima Pale Lager, che è lo stile generico nel quale possiamo fare rientrare delle birre di grande consumo industriale.
E oggi come si fa una birra?
Il 90% della birra prodotta nel mondo, soprattutto quella industriale, è fatta a bassa fermentazione. Il 9,9% invece ad alta. Il restante 0,1% sono le nicchie che utilizzano spontanea e mista. Adesso però questi due metodi stanno tornando di moda, quindi questa piccola percentuale è destinata a crescere, pur restando un fenomeno di nicchia. In questo senso vorrei concludere con una visione: alcuni esperti sostengono che il lievito sarà il prossimo luppolo!
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