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Il formaggio senza latte fa male al made in Italy. E non solo

Formaggio senza latte

Cioccolato senza cacao, vino senza uva e adesso formaggio senza latte: il made in Italy è a rischio. L’Unione europea, attraverso una diffida inviata dalla Commissione, ha infatti chiesto all’Italia di porre fine al divieto in materia di detenzione e di utilizzo di latte in polvere, concentrato e ricostruito per la produzione di prodotti caseari.

Una proibizione contemplata dall’art. 1 della legge n. 138 del 1974 che, insieme alla ricerca della qualità tipica dei nostri produttori, ha sempre garantito l’arrivo sulle nostre tavole di formaggi di primordine.

Formaggio senza latte? No, grazie!

Ora, lamentando una presunta restrizione alla circolazione delle merci, l’Ue mira a stravolgere la normativa nazionale, che ha rappresentato per anni uno dei capisaldi del settore caseario italiano. Un comparto che, nonostante la crisi economica, continua a riscuotere successi nel mondo: le esportazioni dei formaggi nostrani, nel primo trimestre del 2015, hanno registrato un interessante incremento nella misura del 9,3%.

“Grazie pure alla tutela offerta alle denominazioni di origine protetta – spiega Gianni Laera, tecnologo alimentare presso il Caseificio Artigiana di Putignano, in provincia di Bari – l’Italia ha sempre orientato la sua produzione verso eccellenze legate al territorio, scongiurando l’avvento di una produzione di massa e, quindi, di formaggio senza latte ad esclusivo beneficio della diversità biologica”.

Insomma, l’Italia sarà penalizzata da questa richiesta.

Oggi, nel nostro Paese, centinaia di formaggi riflettono le identità del territorio. Anche se volessimo adeguarci alla linea introdotta da Bruxelles, non saremmo in grado di dare vita a una produzione di massa. L’Italia, infatti, non dispone delle superfici, oltre che degli allevamenti intensivi, di altri paesi europei. Purtroppo, in Europa, il mondo del latte ruota attorno agli interessi della Germania e della Francia che, vantando potenzialità inespresse, desiderano ampliare i propri mercati. Il problema è costituito dalle modalità: competere con i prodotti di qualità del made in Italy è complicato, quindi in molti chiedono la possibilità di polverizzare il latte per venderlo in base alle richieste.

Quali effetti genererà questa scelta?

Sicuramente i produttori che fanno riferimento alle denominazioni d’origine si ritroveranno dei concorrenti che produrranno formaggio senza latte a condizioni nettamente diverse. Mi auguro che questo orientamento escluda i dop. In generale, con un colpo di spugna, viene snaturata un’azione promossa in 50 anni di storia. L’Italia rischia di perdere la sua credibilità dopo aver valorizzato una tendenza che mira alla qualità e alla salvaguardia del territorio.

Anche la filiera, nel suo complesso, ne risentirà.

Certamente. Nella mia azienda, certificata per la realizzazione di prodotti nicchia di specialità tradizionale, acquistiamo il latte direttamente dai nostri allevatori, evitando l’importazione da altri paesi. Se andiamo in questa direzione rischiamo di dilapidare un patrimonio di relazioni votate all’eccellenza e alla salubrità del prodotto finale.

Quali azioni promuoveranno adesso i produttori a tutela del proprio lavoro?

Insieme con le associazioni di categoria, si stanno già muovendo nell’ottica di tutelare chi potrebbe risentirne di più, cioè i piccoli produttori, che in Italia vanno per la maggiore.

Un’ultima domanda: qual è la differenza tra un formaggio di qualità e un formaggio senza latte?

Tutto è sintetizzato in una sola parola: biodiversità. Il latte è vivo, contiene batteri lattici diversi tra loro che generano benefici alla salute. L’utilizzo del latte disidratato vanifica, ovviamente, questa peculiarità.

 

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