Miele: l’annata 2015 e la salute delle api
- Redazione Artigiano in Fiera
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Albert Einstein non ha mai pronunciato la frase “Se un giorno le api dovessero scomparire, all’uomo resterebbero soltanto quattro anni di vita“, a lui attribuita secondo l’ormai consueto metodo “bufalesco” che corre troppo spesso sulla Rete. Ma se anche lo scienziato più famoso del mondo non ha mai parlato davvero delle api, sicuramente quelle parole di ignota provenienza contengono un monito su cui riflettere.
Tiziano Veneroni è apicoltore da quindici anni e insieme ai figli gestisce l’azienda di famiglia. La sua produzione può contare su circa mille alveari, sparsi tra le province di Pavia e Piacenza. Abbiamo provato a scattare insieme a lui una fotografia dello stato di salute delle api italiane e del settore dell’apicoltura artigianale.
Com’è andata la raccolta del miele, quest’anno?
L’annata all’inizio è andata bene, con un buon raccolto di miele di acacia, ma poi con il gran caldo c’è stato un tracollo totale delle api: non si è raccolto il millefiori, poco tiglio, niente melata e l’annata si è rivelata pessima. Tutto questo vale per quanto riguarda il mio territorio, la provincia di Pavia e quella di Piacenza, ma anche nelle altre zone produttive le cose non sono andate bene.
Quali sono le condizioni ambientali per una produzione abbondante?
Occorre una temperatura dai 25 ai 30 gradi con buona umidità. Anche il caldo eccezionale di quest’anno sarebbe stato sopportabile, a patto che ogni due o tre giorni avesse piovuto. Invece tutte le piante si sono seccate e le api non hanno trovato più nulla da mangiare. L’anno scorso ha piovuto troppo e ha fatto freddo, quest’anno l’esatto contrario… il risultato è un biennio da dimenticare!
In una stagione da considerarsi soddisfacente, quanto miele andrebbe raccolto?
Siamo intorno ai 40-50 chili per alveare, invece quest’anno ne abbiamo raccolti 20. L’anno scorso furono non più di 25 chili, di media. Nel 2014 andò male con l’acacia e un pochino meglio col millefiori, quest’anno è stato il contrario. La media standard è, come dicevamo, tra i 40 e i 50 chili di miele per alveare, ma si può arrivare anche a 60, spostando le api e “inseguendo” le fioriture, per esempio salendo un po’ in quota.
Quali sono le fioriture che interessano a un apicoltore?
In ordine cronologico possiamo citare il ciliegio, il tarassaco, la robinia, poi è il momento del millefiori. Ma non finisce così, perché per esempio spostando gli alveari a quote più alte, si ricomincia con la robinia, che in montagna ovviamente fiorisce dopo. Arriva poi il momento del castagno e del tiglio. L’abilità sta nello spostare nei posti giusti e nei momenti giusti gli alveari. E’ un lavoro “nomade” in cui diventiamo “maestri di logistica”! E’ un lavoro che si fa in gran parte di notte, quando le api sono tranquille dentro l’alveare.
Le api sono riconosciute universalmente come un indicatore della salute degli ecosistemi e del livello di inquinamento: lei che ha a che fare con loro tutti i giorni, che idea ha delle condizioni attuali dell’ambiente?
Credo che si debba correre ai ripari, soprattutto per quanto riguarda l’uso degli anticrittogamici. Le multinazionali dell’agroalimentare hanno tutto l’interesse a sostenere l’insediamento di monocolture intensive da inondare di sostanze chimiche. Sono tutte sostanze che arrivano nei nostri piatti e naturalmente pure le api ci vanno di mezzo. Le api sono i veri promotori della vita sulla terra, per il loro ruolo fondamentale nelle impollinazioni. Non pretendo che si ritorni ai tempi in cui si lavorava la terra a mano, come tanti anni fa, ma una riduzione nell’uso sconsiderato dei prodotti chimici è davvero un imperativo.
Concludiamo con una domanda un po’ più “leggera”: qual è il suo miele preferito?
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