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Mosca olearia: il più antico nemico delle olive

mosca olearia

L’annata 2014 è stata una delle peggiori, secondo alcuni la peggiore a memoria d’uomo, per l’olio di oliva italiano, prodotto in quantità limitate e rivelatosi di qualità scadente rispetto ad altri raccolti. La colpa del disastro è imputabile alla mosca olearia (nome volgare della Bactrocera oleae), un insetto carpofago (che mangia cioè la frutta) diffuso da sempre in tutto il bacino del Mediterraneo.

Non si deve però gridare all’apocalisse: “la mosca olearia era già nemica delle colture di ulivi ai tempi degli antichi greci – spiega Maurizio Pavesi, entomologo del Museo di Storia Naturale di Milano – poi ogni anno è un caso a sé, per via delle condizioni climatiche“. La mosca olearia può essere una calamità devastante, ma relativamente al raccolto dell’anno, non compromette la vita della pianta come altri parassiti.

La larva dell’insetto si nutre dell’oliva spolpandola per buona parte. A seconda dello stadio larvale dell’ospite, il frutto risulta bacato o addirittura annerito e la sua spremitura, nel migliore dei casi, dà olio estremamente scadente.

Il clima piovoso è alleato della mosca olearia

L’estate piovosa del 2014 ha favorito il proliferare della mosca, che predilige l’ambiente umido. L’esatto contrario dell’olivo “che generalmente – prosegue Pavesi – ha bisogno di clima secco per produrre buone olive“. La pessima annata dell’olio d’oliva è stato generato da una serie di concause, il cui finalizzatore è stata la mosca olearia.

Ci ricorda Pavesi che “la grande piovosità ha da un lato favorito l’ambiente preferito dalla mosca, in secondo luogo ha probabilmente eliminato molti dei suoi nemici naturali, altri parassiti; infine le abbondanti precipitazioni hanno dilavato le sostanze chimiche spruzzate sugli ulivi, rendendo di fatto inefficace la consueta protezione antiparassitaria messa in atto ogni anno“.

Un altro fattore che ha fatto da moltiplicatore all’infestazione è certamente stato il relativo abbandono dei raccolti: una volta appurato che le olive erano inutilizzabili, molti coltivatori le hanno lasciate sugli alberi, trasformandole di fatto in alleati degli insetti. Restando alla mercè delle larve “le olive attaccate – puntualizza Pavesi – sono state un ottimo nido da cui si sono sviluppate altre mosche che sono andate ad attaccare altre piante“.

Insomma, un buon modo “empirico” per contrastare l’infestazione sarebbe stata la raccolta e la distruzione delle olive compromesse: purtroppo non sempre è stato fatto, probabilmente perché raccogliere qualcosa di improduttivo non pareva motivante per molti coltivatori. “Se fossero state stese le reti – continua Maurizio Pavesi – si sarebbero potute eliminare le olive attaccate, perché cadono precocemente da sole. In questo modo il contrasto all’invasione della mosca olearia sarebbe stato più efficace“.

Non bisogna però cadere nell’errore di dare troppe responsabilità alla parziale passività di alcuni coltivatori: la mosca olearia attacca anche gli ulivi selvatici che sfuggono del tutto al controllo dell’uomo e possono rivelarsi un enorme incubatore di larve prima e di insetti poi.

La mosca olearia non è l’insidia peggiore

Il disastro del 2014, sebbene abbia avuto proporzioni gigantesche (non solo in Italia dove la produzione di olio d’oliva è calato di tre quarti, ma anche in Spagna, altro grande produttore), è da considerarsi un fenomeno stagionale, per fortuna. Sarà sufficiente che la prossima estate sia un po’ più secca e si faccia qualche intervento mirato in più, perché la catastrofe non si ripeta.

Ben più preoccupante è l’epidemia da xylella fastidiosa, un batterio che uccide la pianta e che quindi risulta estremamente più pericoloso della mosca olearia. Per ora il problema è localizzato nel Salento e pare che negli ultimi giorni l’uso di fitofarmaci adeguati stia cominciando a scongiurare l’abbattimento forzato di intere coltivazioni. In questi giorni il Consiglio regionale pugliese dovrà decidere se dare il via al piano di eradicazioni o se si provvederà a curare gli alberi ammalati. Considerando quanto impiega un ulivo a svilupparsi, la politica del taglio di tutte le piante nella “zona di quarantena” rischia di modificare il panorama e il tessuto produttivo salentino.

 

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