Rabarbaro: il regolatore naturale della digestione
- Redazione Artigiano in Fiera
- 8 anni fa
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Il rabarbaro (rheum) è una pianta erbacea perenne e spontanea, che può essere coltivata anche nel proprio orto, appartenente alla grande famiglia delle Polygonaceae e diffusa in Asia e in Europa. Esistono diverse specie della pianta che è originaria del lontano Oriente e i cui effetti benefici erano noti già nella più remota antichità. La più diffusa specie di rabarbaro è quella cinese, altrimenti detta, secondo la sua classificazione scientifica, rheum palmatum l. o rheum officinale baill. Vediamo da vicino origini, coltivazione, proprietà e usi della pianta le cui virtù erano conosciute già nel 2.700 a.C. dall’imperatore cinese Shen Nung.
Origini del rabarbaro
Il rabarbaro deve il suo nome all’unione di due parole greche: “ra” cioè “pianta” e “barbaron” termine usato per indicare che l’utilizzo della pianta era in voga presso tribù straniere che gli ellenici definivano appunto “barbare”. Ma le vere origini del rheum palmatum sono, come accennato, prettamente asiatiche.
Il rabarbaro veniva utilizzano a scopo officinale e alimentare già nel XXVIII secolo a.C. in Cina ed era tra gli alimenti tradizionali delle popolazioni mongole. La diffusione della pianta in Occidente, all’inizio specie tra la popolazione di lingua anglosassone, è cosa molto più recente. Il rabarbaro sarebbe stato introdotto infatti nel vecchio continente solo a seguito dell’espansione coloniale delle potenze europee.
Coltivazione e caratteristiche
La pianta in Italia viene coltivata soprattutto a scopo ornamentale e officinale. Più in genere viene coltivata anche a livello industriale per la produzione di rizomi, detti anche radici di r. (germogli sotterranei perenni ricchi di tessuti parenchimatici di riserva contenenti amido), e come pianta ortiva per fini alimentari.
Dai fusti alti anche fino a 2 metri, dalle robuste radici rizomatose e con ampie foglie dal lungo picciolo carnoso, il rabarbaro ha un’infiorescenza di colore bianco-giallastro o purpureo. Il frutto è una sorta di noce (un achenio trigono). Ma come si coltiva la pianta?
Prima serve un grosso lavoro di concimazione del terreno, con un cospicuo impiego di letame e concimi al fosforo. Le piantine vanno poi poste a dimora in autunno o all’inizio della primavera a 100-150 centimetri tra le file e a circa un metro lungo la fila; il resto è affidato a diserbanti e irrigazione: in autunno i concimi organici e in primavera quelli azotati.
Il ciclo colturale è quantomeno biennale perché nel primo anno la pianta rende zero. Per questo è consigliata non la semina diretta ma il trapianto, utilizzando piante di almeno un anno di età. Per quanto adattabile il rabarbaro attecchisce meglio in terreni freschi, o anche leggermente umidi, che devono essere ben drenati e adeguatamente concimati con sostanze organiche. Il rabarbaro ama l’esposizione alla luce piena, ma anche un certo grado d’ombra non gli dà fastidio.
Al secondo anno si può cominciare la raccolta, togliendo a mano un terzo delle foglie presenti sul lembo. I rizomi invece potranno essere raccolti solo a partire dal terzo o quarto anno, quindi andranno tagliati a fettine e lasciati essiccare. I piccioli carnosi sono usati anche per la preparazione di dolci e marmellate. Degli usi alimentari del rabarbaro ci occuperemo tra poco. Ora però conosciamo le proprietà della pianta.
Proprietà
Il rabarbaro è composto per il 93% da acqua, poi da fibre (1,7%) e in misura minore da carboidrati, proteine e zuccheri. Contiene inoltre vitamine specie dei gruppi A e B. La pianta contiene tra l’altro sali minerali come ferro, calcio, fosforo, magnesio, manganese, potassio e selenio. Il rabarbaro contiene inoltre acido gallico, cinnamico e tannico.
I rizomi hanno riconosciute proprietà digestive, lassative, depurative e colagoghe (cioè di aiuto alla secrezione della bile). Il rabarbaro è funzionale alla salute dell’apparato digerente, in piccole dosi favorisce infatti la digestione e soprattuto la secrezione dei succhi gastrici e della bile, agisce quindi da regolatore naturale delle funzioni intestine oltre ad avere proprietà aperitive e depurative del fegato.
Il rabarbaro è anche un lassativo naturale (agisce sulla motilità del colon): leggero in basse dosi, una vera e propria purga, che può sfociare in diarrea, se si esagera. Grazie ai glucosidi antrachinonici e alle fibre il rabarbaro può essere un rimedio contro la stitichezza cronica mentre alcuni studi clinici assegnano alla pianta anche proprietà antisettiche, grazie al contenuto dei tannini.
Il rabarbaro però, proprio per queste sue caratteristiche, non va bene per tutti: è sconsigliato per i bambini, per le donne gravidanza o durante la fase dell’allattamento, in presenza di allergie, coliti e calcoli renali.
Usi in cucina
Il rabarbaro ha un aroma gradevole ed è molto usato per la preparazione di liquori e digestivi, marmellate e confetture (non sono la stessa cosa), infusi, decotti e dolci. Ma con il rabarbaro si può fare anche una bella insalata mista: si prende un gambo di rabarbaro pulito e sbucciato aggiungendo poi una patata lessa fatta a pezzettini e una carota tagliata a fettine. Il top sarebbe mettere nel nostro piatto anche degli asparagi, cotti o crudi, e una spruzzata di succo di limone.
Un contorno agrodolce al rabarbaro è altrettanto sbrigativo da preparare. Occorrono: mezza cipolla rossa, pepe, olio, sale, tre-quattro cucchiaini di vino rosso, uno stelo di rabarbaro, dell’alloro e acqua quanta ne serve. Per una crostata con ripieno a base di rabarbaro servirà invece un po’ di tempo in più: prima va fatta la pasta frolla come base alla quale saranno aggiunti yogurt, lamponi o fragole, zucchero e uova.
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