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Chinotto, una storia tutta italiana

chinotto

Cos’è il chinotto e perché ne sentiamo parlare sempre di più? Una storia tutta italiana che è pronta a ripartire.

Attraverso il chinotto si può raccontare la storia d’Italia, una ricchezza del territorio, frutto di migrazioni e contaminazioni, capace di dar vita a un’industria fiorente già nell’Ottocento per poi rischiare di scomparire negli ultimi decenni. Una storia avvincente che merita di essere raccontata. Considerata una mutazione gemmaria dell’arancio amaro, questa pianta è probabilmente originaria della Cina da cui venne poi importata nel Cinquecento in Liguria. Qui attecchì molto bene, in particolare nelle zone comprese tra Varazze e Finale Ligure.

La fine Ottocento è il periodo d’oro della sua diffusione: veniva commercializzato con successo in Francia e in Inghilterra, conservato nel Maraschino e servito nei caffè più alla moda. In questo periodo la produzione agricola non riesce a tenere il passo dell’industria: nella Descrizione cosmografica l’abate Cougnet cita una flessione nell’esportazione di chinotti freschi a seguito dell’installazione a Savona, nella zona dell’Oltreletimbro, dello stabilimento a vapore Silvestre-Allemand, specializzato nella lavorazione dei chinotti. Le dimensioni dell’opificio sono importanti come dimostra il numero degli operai impiegati: 60 nell’anno di apertura (1877) e già 80 in quello successivo.

I maggiori mercati di esportazione erano Francia e Regno Unito dove il chinotto aveva una doppia valenza: prodotto per la gastronomia ma anche medicinale come fonte di vitamina C per i marinai e navigatori oceanici che avevano la necessità di combattere lo scorbuto.

La produzione del chinotto era talmente importante, che nel 1902 si sentì l’esigenza di redigere uno “Statuto-Regolamento” della Società dei Produttori di Chinotti, che il 10 luglio 1887 aveva 152 soci, tra cui spiccano nomi che hanno fatto la storia dell’agricoltura del savonese e della trasformazione dei prodotti. Trattandosi di un prodotto destinato alla canditura, la vendita dei chinotti è stata sempre sottoposte alla regola del calibro: dovevano quindi avere un diametro prefissato che veniva misurato facendo passare i frutti all’interno di anelli diversi per dimensione. Negli anni Cinquanta a causa di una serie di gelate, la coltivazione del chinotto, florida per decenni, subì una forte battuta d’arresto. Non solo: negli stessi anni si diffusero le più redditizie coltivazioni in serra che portarono in pochi anni ad una drastica riduzione delle piantagioni. I maggior problemi per la diffusione di questa pianta vennero però dalla crescita dell’urbanizzazione. Il chinotto, usato anche per delimitare i confini tra le proprietà, era coltivato all’interno della città, in un’area oggi completamente edificata.

La pianta del chinotto, pur essendo sempreverde, ha bisogno di molte attenzioni. Soffre il freddo e, nell’ecotipo di Savona, ha una maturazione anticipata e bisogna cogliere il frutto verde per far crescere poi gli altri. Tuttavia la varietà locale compensa queste difficoltà agronomiche con enormi vantaggi da un punto di vista nutrizionale. Può infatti vantare una concentrazione unica per vitamina C e un’alta percentuale di sinefrina che aiuta la motilità dell’intestino. Considerata anche un toccasana per la circolazione, sembra capace di donare una sensazione di diffuso benessere.

Attenzione però: i chinotti non sono frutti di consumo immediato, anche perché molto amari. Possono essere gustati dopo una particolare lavorazione: il primo momento è costituito dall’immersione per circa tre settimane in salamoia (un tempo si utilizzava l’acqua di mare); gli agrumi quindi sono pelati a mano per togliere il sottile strato di buccia contenente gli estratti e gli aromi più amari. Dopo una seconda immersione in salamoia, sono devono essere conciati con bolliture successive e in sciroppi dolci a concentrazione crescente. Tra i suoi usi principali c’è naturalmente l’utilizzo per la preparazione dell’omonima bevanda, ma può servire anche per preparare canditi, marmellate e mostarde, mentre dai fiori e dalle foglie si estrae anche un olio particolarmente apprezzato in profumeria.

In qualità di bibita il chinotto è abbastanza recente e il documento più antico che ne attesta la nascita si può datare al 1932 anche se preparazioni molto simili esistevano già in precedenza. Nel Dopoguerra diventò una bevanda nazional popolare, diventando la principale alternativa alle bibite provenienti da Oltreoceano.

Questo però non fu sufficiente a salvare le coltivazioni e negli anni Ottanta la sua diffusione si ridusse a poche decine di esemplari. Con gli anni Duemila inizia la riscossa per l’ecotipo savonese e attualmente le piante sono circa un migliaio. Anche gli utilizzi tornano ad essere molteplici: bagnoschiuma, creme corpo, sapone e profumi, ma anche birra, liquori e mieli. Senza dimenticare la bevanda, che grazie alla miscelazione è tornata a conquistare bar e ristoranti.

Cocktail con il chinotto

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Forse non tutti sanno che con il chinotto si possono preparare molti gustosi cocktail, ideali da sorseggiare durante l’aperitivo.

Un esempio?

Si sposa benissimo con rum bianco e lime (in alternativa si può usare nella ricetta il succo d’arancia), per ottenere una sorta di cuba libre, ma si può miscelare anche con il bourbon e succo di limone, per una variante insolita del whiskey sour, con l’amaretto e con la vodka.

 

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