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Conoscere l’olio: la classificazione

Un tempo non molto lontano l’olio era considerato una commodities. E spiccava sulle tavole solo quello della pubblicità. O quello del contadino, senza etichette. Poi qualcosa è cambiato e anche per l’olio italiano è iniziata la strada della sua distinzione.

Ora, per meglio comprendere l’olio va detto che la definizione di olio di oliva “vergine” comprende tutte le tipologie ottenute da un’unica frantumazione dell’oliva e dalla successiva estrazione dell’olio contenuto, tramite un’azione meccanica, così da non causare alterazioni del prodotto. A questa categoria appartiene l’extravergine di oliva che ha un’acidità libera espressa in acido oleico non superiore a 0,8 grammi per 100 grammi, poi l’olio di oliva vergine con un valore di acido oleico non superiore ai 2 grammi per 100 grammi e l’olio di oliva “lampante” che ha oltre 2 grammi per 100 grammi. Quest’ultimo, tuttavia, non può essere venduto come fa presumere il nome stesso (lampante, cioeè per le lampade).

Esiste poi la gamma degli oli ottenuti dalla sansa, ovvero il residuo che comprende parti di buccia, polpa e nocciolo, successivo alla molitura delle olive. Gli oli ottenuti dalla succesiva lavorazione del lampante e sansa non possono essere definiti vergini.

Perché tutti si concentrano sull’olio extravergine di oliva, trascurando gli altri oli derivanti dall’oliva? Beh: rispetto all’olio extravergine di oliva non c’è confronto che regga, in termini di qualità, anche se gli altri oli non si possono denigrare eccessivamente. Anche perché tutto ciò che si ricava dall’oliva è la diretta espressione o di un prodotto agricolo tal quale (al pari di una spremuta di frutta: è il caso dell’olio extravergine di oliva e dell’olio vergine di oliva) o di un prodotto agricolo lavorato (è il caso dell’olio di oliva e dell’olio di sansa di oliva).

Paolo Massobrio

 

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