I vasi marocchini cotti nei forni a copertoni
- Redazione Artigiano in Fiera
- 9 anni fa
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Tra le tradizioni artigiane del Marocco un posto di riguardo è senz’altro occupato dalla produzione di vasi in terra cotta. I metodi di lavorazione sono tramandati di generazione in generazione e oggi poco si discostano da quelli che potevano essere osservati decenni se non secoli fa.
Ho visitato un laboratorio (che somiglia un po’ a un nostro piccolo cantiere edile) nella città di Tamesloht, non lontana da Marrakech, ma abbastanza distante per non risentire delle ricadute positive del turismo. E’ una delle zone più povere del Marocco.
La materia prima, l’argilla, arriva da una cava distante una quarantina di chimometri, ai piedi delle montagne dell’Atlante. L’argilla è lasciata a bagno per alcuni giorni in apposite vasche, poi è lavorata per farla diventare pasta da plasmare. Il procedimento per certi versi è simile a quello messo in atto dai panettieri.
I panetti di pasta d’argilla passano nelle mani dell’addetto alla ruota, di solito collocata in una casupola di paglia e fango (e cocci di vasi rotti) che mantiene l’artigiano al fresco d’estate e al caldo d’inverno (l’escursione termica da gennaio a luglio arriva a oltre quaranta gradi). Usando una ruota azionata a pedale il vasaio forgia il manufatto secondo l’uso cui è destinato (dal vaso per fiori alla lampada da comodino) e poi lo passa all’intagliatore.
In un’altra piccola costruzione analoga alla precedente, l’intagliatore pratica fori e intarsi nel vaso d’argilla ancora fresca, usando una serie di coltelli e coltellini, talvolta avvalendosi di mascherine di plastica, altre volte procedendo “a vista”.
A questo punto i vasi (chiamiamoli così per comodità, anche se abbiamo visto che non tutti saranno vasi in senso stretto) sono lasciati ad asciugare al sole. E il sole del Marocco asciuga bene!
Infine arriva il momento della cottura. I forni sono stanze rotonde grandi abbastanza da contenere dieci persone in piedi: i vasi in cottura arrivano ad alcune decine. L’ingresso dell’ambiente di cottura è chiuso ogni volta con un muro provvisorio, che è demolito quando l’operazione è terminata. Il tetto rimovibile lascia degli spazi aperti per far uscire il fumo. Sotto il pavimento della sala di cottura, munito di buchi, c’è un vano ancora più ampio, dove avviene la combustione.
Fino a circa vent’anni fa si bruciava legna, ma poi gli artigiani hanno scoperto che i vecchi copertoni delle automobili costavano molto meno e avevano un potere calorifico più alto. Questa scelta “economicistica” ha però delle ricadute terribili sull’ambiente e sulla salute dei lavoratori (le colonne di fumo nero che si levano dai forni fanno davvero accapponare la pelle): la rete di associazioni Al Islah, che mi ha ospitato in questo viaggio, ha come priorità assoluta quella di dotare i vasai di forni a metano e la gran parte dei fondi che sono raccolti sia attraverso la solidarietà internazionale, sia attraverso una percentuale dei ricavi provenienti dalla vendita dei vasi, sono destinati a questo obiettivo.
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