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Farfara | Glossario dell’artigianato

Farfara o tossilagine comune:

farfara o tossilagine

la farfara (nome scientifico Tussilago farfara) o tossilagine comune è una pianta erbacea perenne della famiglia delle Asteraceae che produce dei fiori gialli dai petali fini e lunghi. Tra le proprietà fitoterapiche della farfara, note già ai tempi degli antichi romani, quelle espettoranti e antinfiammatorie.

Proprio alla riconosciuta capacità di calmare la tosse rinvia il nome scientifico della pianta (derivato dal latino tussis agere). Una sua caratteristica è che i fiori seccano anche settimane prima della comparsa delle foglie, che sono poi la parte della pianta più usata per gli usi terapici.

Proprietà della farfara

Le proprietà della farfara o tossilagine la rendono efficace contro la tosse ma anche contro disturbi dell’apparato respiratorio più in generale. Per quanto riguarda la sua composizione, la tossilagine abbonda di mucillagini e contiene principi attivi come acido acetico e gallico oltre a sali minerali, tannini (antiossidanti) e pectina (fibra solubile dalle proprietà dietetiche).

La farfara si rivela utile nel contrastare anche muchi e catarro, tracheiti e laringiti. Buona anche per lenire la tosse dei fumatori. Altra proprietà della farfara che la rende indicata per combattere le infezioni della cute è quella emolliente che in combinazione all’attività antinfiammatoria agisce efficacemente contro le irritazioni, dai semplici brufoli agli eczemi.

L’assunzione di farfara o tossilagine per uso interno, per sfruttarne i benefici espettoranti, avviene tramite infuso/decotto mentre per uso topico, esterno, cosmetico, è il succo della pianta a essere direttamente applicato sulle parti irritate o da trattare con impacchi e lavaggi dalle proprietà lenitive e astringenti.

Controindicazioni e avvertenze

L’uso poco consapevole di farfara o tossilagine può risultare nocivo per il fegato perché contiene alcaloidi pirrolizidinici epatotossici per l’uomo. Per questo motivo l’assunzione di farfara è sempre da evitare nei casi di disturbi come l’insufficienza epatica, la cirrosi epatica o l’epatite virale ma anche in gravidanza e allattamento. La pianta è contenuta nell’elenco stilato dal Ministero della Salute in merito a quelle “non ammesse” nel campo degli integratori alimentari. Secondo l’Agenzia italiana del farmaco gli alcaloidi pirrolizidinici provocano “danni epatici cronici e sono cancerogeni”.

In ogni caso, anche se non si soffre di disturbi epatici, bisogna sempre tenere conto delle dosi consigliate seguendo le indicazioni riportate sull’etichetta del prodotto e/o quelle dello specialista (erborista, medico, nutrizionista e così via). Nel caso di infuso ad esempio basterà lasciare in infusione un cucchiaino di farfara secca in un bicchiere di acqua calda per 5 minuti per poi berne non più due bicchieri al giorno per un tempo massimo di un paio di settimane.


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