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Lambrusco | Glossario del’artigianato

lambruscoLa vitis labrusca era già annoverata con questo nome da Plinio e Virgilio: questo termine era proprio del dialetto padano e pare addirittura anteriore non solo alla presenza romana ma anche a quella etrusca e all’invasione dei Celti. Testimonia quindi il ruolo delle popolazioni padane nella domesticazione della vite selvatica. Per secoli infatti con questo termine, labrusca, venne indicata la vite selvatica: era un nome comune, non identificativo di un vitigno in particolare. La confusione tra la vite domesticata e quella selvatica restò a lungo.
Non solo: il termine lambrusco – si riconobbe nell’Ottocento – identificava un’ampia varietà genetica. Erano in generale vitigni molto rustici con acini radi e piccoli di colore intenso. Le viti nella maggior parte dei casi erano allevate allo stesso modo: maritate all’albero. Proprio questa tecnica di coltivazione era diffusa già in epoca precedente agli Etruschi e pare che gli stessi Galli avessero imparato la tecnica dalle popolazioni locali. Nella pianura padana la vite era maritata soprattutto all’albero di olmo. Questi erano disposti in filari distanti 6 – 8 metri l’uno dall’altro e la vite si arrampicava sull’albero e nei fili tirati tra gli alberi.

La viticoltura moderna che decreterà la fine della vite maritata nasce dopo la filossera e a seguito della malattia dell’olmo. L’inizio del Novecento con l’utilizzo dell’innesto su piede americano segnerà una svolta agricola e non solo. Contemporaneamente cambia – accentuandosi intorno alla metà del secolo scorso – l’atteggiamento verso le varietà: l’obiettivo è la semplificazione che si inserisce in un mondo dove per secoli nelle stesse piantate hanno convissuto centinaia di viti differenti. Nell’universo dei lambruschi, questo fenomeno è ancor più accentuato a causa anche della forte parcellizzazione della proprietà agricola. Anche perché, prima dell’avvento della moderna viticoltura, a contare non erano tanto il vitigno o la zona, quanto la tecnica di lavorazione.

Nonostante l’opera di semplificazione, parte di questa enorme varietà ha continuato a sopravvivere, soprattutto per quanto riguarda i lambruschi. Dalle più recenti ricerche è emerso infatti come i vitigni che ancora mantengono, dal punto di vista genetico, una composizione affine a quella della vite selvatica sono proprio i lambruschi come dimostrato anche dalla loro celebre robustezza. Tra i lambruschi più celebri si annoverano il Salamino Santa Croce, , il Grasparossa e il Sorbara nel modenese, il Lambrusco Viadanese e il Grappello Ruberti nel mantovano, il Lambrusco Maestri nel parmense.

 

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