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Caffè marocchino: una famosa fabbrica di cappelli dietro la sua origine

caffè marocchino

La storia delle preparazione del caffè è ricca almeno quanto quella di questa bevanda che dopo essere sdoganata per il consumo popolare a metà del Settecento, sembra non aver più lasciato i bar  e i locali italiani. La storia del cappuccino è ammantata dalla leggende: secondo la vulgata l’invenzione della bevanda sarebbe da attribuire a Marco da Aviano, frate dell’ordine dei cappuccini, che inviato dal Papa a Vienna sul finire del Seicento avrebbe chiesto al proprietario del primo caffè viennese (e uno dei primi al mondo) una bevanda con latte (caldo) e caffè. Dalla qualifica dell’avventore (cappuccino) e dal colore del suo abito così somigliante a quello della bevanda sarebbe nato il kaputziner  poi tradotto in cappuccino.

Naturalmente quella bevanda era profondamente diversa da quella che conosciamo noi: il caffè infatti era estratto alla turca mentre il latte, proprio per l’arretratezza tecnologica (la macchina del caffè avrebbe fatto la sua comparsa circa due secoli più tardi) non era certamente montato a crema.

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Caffè marocchino: come si prepara

C’è però un suo lontano parente (che però per alcuni sarebbe più simile al torinese bicerin) che ha una storia altrettanto affascinante: il Marocchino. La bevanda, oggi diffusa in tutto il Nord Ovest, viene paragonata al bicerin per un motivo ben preciso. Non si tratta infatti di un piccolo cappuccino ma si prepara con una base di caffè espresso, cioccolato fondente in polvere e latte montato a crema. La collocazione del cioccolato è varia: sul caffè o sulla crema, a piacere (esistono – e sono anche molto apprezzate – versioni che sostituiscono il cioccolato in polvere con la crema di nocciola spalmata lungo i bordi del bicchiere utilizzato con il servizio). Se si pone l’attenzione sul cioccolato, allora è facile capire perché viene considerato un’evoluzione del bicerin di Cavour, che si basa sugli stessi tre ingredienti.

Caffè marocchino: le origini

Il vero caffè Marocchino però non è proprio questo. Il suo luogo di nascita infatti è noto: Alessandria e più precisamente lo storico Bar Carpano collocato di fronte alla Borsalino, la fabbrica di cappelli più celebre del mondo. Siamo a metà Novecento e la Borsalino è all’apice del suo successo. Nata circa un secolo prima, Borsalino era diventato così famoso da diventare sinonimo di cappello. Durante la Prima Guerra Mondiale produceva circa 2 milioni di pezzi l’anno. Tra i suoi estimatori nell’arco del Novecento comparirono papi (come Papa Giovanni XXIII), statisti (come Winston Churchill e Harry Truman) e tanti personaggi del mondo delle arti e dello spettacolo (da Jean-Paul Belmondo a Alain Delon, da Federico Fellini a Ernest Hemingway, da Giuseppe Verdi a Gabriele D’Annunzio. Alla fabbrica del cappello icona lavorano a metà Novecento migliaia di operai che  a inizio (o a fine) turno si ritrovano nei bar che sorgono intorno allo stabilimento collocato proprio nel cuore della città. Il Bar Carpano è uno di quelli.

“Un giorno – racconta uno dei massimi esperti di storia locale, Ugo Boccassi –  servendo un caffè macchiato ad uno degli operai della fabbrica il titolare del bar disse “U smea in maruchën” (“Sembra marocchino”) intendendo quella striscetta di pelle color cuoio che si metteva all’interno del cappello. D’altro canto un certo tipo di cuoio si chiamava “marocchineria” derivando la concia da quel paese”.

La fonte della notizia in questo caso è primaria: la testimonianza è infatti raccolta direttamente dai vecchi proprietari (il bar oggi non esiste più) che, inconsapevolmente, hanno dato inizio a un mito.

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