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“L’alimentazione senza glutine non è punitiva o limitativa”, la parola all’esperto

artigiano in fiera per celiaci

I “numeri” parlano chiaro. Secondo il Ministero della Salute, sono oltre 170.000 i celiaci diagnosticati in Italia. È un dato ancora parziale. La celiachia ha, infatti, un’incidenza stimata dell’1%: complessivamente sono, dunque, circa 600.000 i casi stimati. Si tratta per lo più di persone che ignorano di essere affetti dalla patologia.

La celiachia è un disturbo all’apparato digerente. Chi ne è colpito è intollerante al glutine, una proteina presente in alcuni cereali (frumento, segale, orzo, avena, farro). Per approfondire il tema, abbiamo intervistato Susanna Neuhold, responsabile nazionale Area Food dell’Associazione italiana celiachia, che ci ha fornito preziose informazioni sulla patologia e sull’utilizzo di prodotti senza glutine.

Può, innanzitutto, sintetizzarci lo scenario della celiachia in Italia?

La celiachia viene sempre rappresentata come un iceberg, di cui solamente una piccola parte emerge in superficie. La prevalenza (una misura di frequenza usata in medicina) della celiachia sulla popolazione italiana è dell’1% circa. Si calcola, però, che circa cinque celiaci su sei rimangano non riconosciuti. I dati più recenti relativi al numero di celiaci diagnosticati in Italia sono quelli forniti dalla Relazione al Parlamento del Ministero della Salute – edizione 2014: al 31/12/2014, il numero dei pazienti effettivamente diagnosticati è 172.197, ma la prevalenza stimata di questa patologia è appunto l’1% della popolazione italiana. Il numero teorico complessivo dei celiaci sarebbe, quindi, pari a 600.000 persone circa, delle quali oltre 400.000, ad oggi, non è ancora consapevole di essere celiaco. Si tratta del 72,6% dei celiaci. Importante sottolineare che il rapporto stimato medio di pazienti celiaci maschi – femmine è pari a circa 1:2. Il numero atteso di donne celiache è, quindi, pari a circa 400.000, mentre le donne ad oggi effettivamente diagnosticate sono solo 121.964 e, di conseguenza, oltre 280.000 quelle che non hanno ancora ricevuto la loro diagnosi. Dal 2013 al 2014 (ultimi dati disponibili) il numero di diagnosticati sale da 164.492 a 172.197 (+ 4,7%). Quanto alla distribuzione delle diagnosi in Italia, troviamo 32.998 casi al sud (19%), 38.148 al centro (22%), 81.530 al nord (48%) e 19.592 nelle isole (11%).

In Europa e nel mondo, invece?

Un’analoga prevalenza, 1%, si registra in tutta Europa, con tassi crescenti nei paesi dell’Est. Negli Stati Uniti, l’importanza epidemiologica della celiachia è stata a lungo sottovalutata. Di recente, invece, molte sono le diagnosi e i dati coincidono con quelli europei. Studi recenti hanno evidenziato come la celiachia non interessi solo i Paesi occidentali e le popolazioni caucasiche, ma sia un problema di salute a livello globale. Laddove si utilizza il frumento nell’alimentazione, anche per via della globalizzazione dei consumi alimentari, l’incidenza della celiachia è paragonabile a quella dei paesi occidentali, anche se il numero delle diagnosi risulta ancora molto inferiore.

senza glutine

In che modo è possibile comprendere la presenza della celiachia?

Le caratteristiche epidemiologiche sono tali che l’Organismo Mondiale della Sanità ha ipotizzato uno screening di massa malgrado sussistano molti dubbi, a partire dall’età in cui effettuarlo, dal metodo da utilizzare, al rapporto costi-benefici. In prevalenza, gli esperti restano favorevoli al case-finding, cioè alla ricerca dei soggetti celiaci basandosi su sintomi e categorie a rischio (familiari e portatori di patologie connesse). Di certo vanno perseguiti, per un miglioramento delle diagnosi, l’azione di formazione ed aggiornamento sulla celiachia e il percorso diagnostico. L’incidenza della celiachia aumenta considerevolmente (del 10%) nei familiari di primo grado di celiaci e nelle popolazioni a rischio (in malati di diabete mellito di tipo 1, tiroidite autoimmune, sindrome di Down).

Quali sono le attività che svolge l’associazione per andare incontro alle esigenze degli iscritti?

L’Associazione Italiana Celiachia nasce, nel 1979, per iniziativa di un gruppo di genitori che affrontavano, allora, le prime diagnosi di celiachia in Italia. Ciò avveniva in un panorama di assenza totale di tutele e di assistenza nell’affrontare una malattia di cui si conosceva ancora pochissimo. I bisogni di quella nascente comunità di famiglie erano davvero primari: innanzitutto, capire cosa fosse realmente la celiachia, cui si arrivava, spesso, dopo lunghi e penosi periodi di sofferenze ed errate diagnosi. E poi conoscere il significato della “dieta senza glutine”, scoprire quali erano i prodotti adatti al celiaco e dove reperirli. Dopo 35 anni di attività, l’Associazione Italiana Celiachia conta circa 55.000 associati: ha contribuito a modificare radicalmente il panorama delle tutele dei celiaci e il volto stesso della celiachia in Italia. Intanto i bisogni sono cambiati: oggi il celiaco chiede il diritto al pasto senza glutine, alla «demedicalizzazione» della celiachia e alla normalizzazione della sua vita. Chiede di poter vivere la sua quotidianità «senza glutine» secondo i nuovi stili di vita che si affermano nella società, dal lavoro al tempo libero, dalle vacanze alla famiglia. Resta l’obiettivo di una diagnosi precoce e corretta di celiachia. Se è vero che le diagnosi crescono costantemente, rimane il fatto che a fronte di una incidenza di questa malattia nella popolazione di 1:100, i celiaci diagnosticati restano ancora pochi.

Ci descriva come cambia il modo di cucinare, senza glutine, di una persona che scopre di essere celiaca.

Cambiano alcuni ingredienti e si aggiungono alcune attenzioni nella preparazione e conservazione dei cibi, ma in realtà la vita in casa è più semplice di quanto si creda, basta seguire alcune semplici indicazioni: una volta aperte le confezioni dei prodotti, riporle in maniera che non si possano contaminare con altri prodotti contenenti glutine (ad esempio riporre la farina senza glutine in contenitori di plastica chiusi), preparare le pietanze su superfici pulite e con pentole, stoviglie e posate pulite (è inutile utilizzare utensili dedicati). Sia il lavaggio a mano che quello in lavastoviglie garantiscono la rimozione dei residui di glutine. Lavarsi sempre le mani prima di cucinare (che è una buona norma per tutti!) e comunque ogni volta che si siano sporcate con alimenti con glutine (ad esempio: farina). Non utilizzare per la cottura di pietanze senza glutine acqua che sia stata precedentemente utilizzata per cuocere pasta o altri alimenti con glutine; non friggere in olio precedentemente utilizzato per la frittura di alimenti con glutine; utilizzare carta da forno o fogli di alluminio su superfici (ad esempio la piastra o la griglia del forno) che potrebbero essere state contaminate. Evitare l’inutile utilizzo di spugne dedicate. È, infatti, sufficiente un accurato risciacquo in acqua corrente per allontanare gli eventuali residui alimentari. Un ulteriore consiglio può essere quello di organizzare la dispensa in modo da tenere i prodotti senza glutine separati dagli altri, per evitare il rischio che, per distrazione, si utilizzi il prodotto sbagliato.

È vero che “senza glutine” equivale a “senza sapore”?

L’alimentazione senza glutine non è, come potrebbe sembrare, punitiva, limitativa o legata necessariamente al concetto di rinuncia. Partiamo dall’alimentazione mediterranea, alla quale gli italiani fanno riferimento: scopriremo una moltitudine di alimenti naturalmente privi di glutine che ognuno di noi consuma giornalmente, sia egli celiaco o meno, e che sono alla base di numerose ricette, dalle più semplici alle più elaborate. Tra questi alimenti vi sono: riso, mais, grano saraceno, legumi, patate, pesce, carne, uova, latte e formaggi, ortaggi e frutta. Il celiaco dispone dunque di tutti i componenti per costruire una dieta bilanciata e varia, con una particolare attenzione da prestare nella scelta delle fonti di carboidrati che devono sostituire i cereali vietati. Scelta che non deve ricadere, esclusivamente, sulla vastissima gamma di prodotti dietetici senza glutine disponibili sul mercato, ma anche sui cereali naturalmente senza glutine come riso e mais o altre fonti di carboidrati come le patate.

Quali sono le difficoltà più grandi di chi deve consumare cibi senza glutine?

La ristorazione fuori casa resta la parte più problematica della vita del celiaco ad esclusione delle mense delle strutture scolastiche e ospedaliere e delle strutture pubbliche che, dal 2005, anno di pubblicazione della legge n. 123, devono garantire per legge il pasto senza glutine. Con l’obiettivo di creare una rete di esercizi ristorativi-ricettivi (ristoranti, pizzerie, alberghi, bar) informati sulla celiachia e in grado di offrire un servizio idoneo alle esigenze alimentari dei celiaci, l’AIC ha sviluppato dal 2000 un progetto specifico dedicato alla ristorazione: Alimentazione Fuori Casa AIC (AFC). Ad oggi, i locali del Network AFC sono quasi 4000 distribuiti su tutta la penisola: ristoranti, pizzerie, hotel, bar, gelaterie, bed&breakfast, agriturismi, villaggi turistici, laboratori artigianali ma anche barche a vela, navi da crociera e distributori automatici. I locali che aderiscono al network per l’Alimentazione Fuori Casa dell’AIC devono seguire un preciso percorso di accesso. Innanzitutto, l’esercizio deve partecipare a un corso base di formazione sulla celiachia e sulla cucina senza glutine organizzato localmente dalle AIC regionali. Il corso comprende una parte teorica e una parte pratica. La parte teorica, oltre a celiachia, AIC e dieta senza glutine illustra gli specifici requisiti tecnici (regole e procedure) da applicare nella preparazione di pasti senza glutine con la finalità di garantire la sicurezza del pasto per il celiaco.

In termini di sicurezza, cosa vi aspettate dai produttori che realizzano prodotti senza glutine?

La norma impone che gli alimenti gluten-free non contengano glutine al di sopra di una soglia limite, individuata come limite di tossicità per i celiaci: 20 mg su kg di alimento. Dai produttori, quindi, ci attendiamo il rispetto della norma che significa l’applicazione di precise e rigorose procedure di controllo del rischio e una etichettatura e informazione chiara al consumatore, non ambigua. Ad esempio, diciture come “questo alimento è prodotto in uno stabilimento dove è presente anche frumento” sono unicamente fonte di allarmismo senza dare una precisa informazione al consumatore.

Il mercato dei prodotti senza glutine: può fornirci qualche dato di scenario degli ultimi anni?

Il valore del mercato del senza glutine è pari a 320 milioni di euro. Di questi soltanto 240 sono riconducibili all’erogazione per i pazienti celiaci (anno 2014). Questo ci dice che un quarto del mercato è costituito dagli acquisti dei consumatori non diagnosticati celiaci, tra cui ristoratori, albergatori e affini, ma in parte, senza dubbio, anche persone che acquistano senza glutine per scelta. L’Associazione si trova quindi ad affrontare uno scenario mutato riguardo alla percezione della dieta senza glutine, promossa oggi da molti media quasi come una moda e non come una terapia. Tale scenario ha già portato a gravi conseguenze sul piano normativo, con lo stralcio degli alimenti appositamente formulati per celiaci dalla norma quadro europeo sugli alimenti destinati a categorie vulnerabili della popolazione (Reg. UE 609/2013). La diffusione della “moda del senza glutine” ha portato anche al rischio che, nella disinformazione, si confondano celiachia, altre patologie di cui ancora si sa davvero poco, come la gluten sensitivity, stili alimentari e mode; un processo di banalizzazione che mette a rischio le diagnosi, la sicurezza, la salute stessa del paziente e le sue tutele.

Continueremo ad occuparci del tema, approfondendo in numerosi articoli gli argomenti che riguardano il “senza glutine”.

 

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