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Dolci sardi: i migliori prodotti della tradizione della Sardegna

dolci sardi

Nella seconda puntata del nostro viaggio vi presentiamo i migliori dolci sardi (qui potete trovare l’articolo sui prodotti salati). A proposito di prodotti sardi online, per l’acquisto di prodotti sardi corri a dare un’occhiata all’e-commerce di Artigiano In Fiera!

Uno dei più famosi dolci sardi: il torrone

La storia del torrone è legata a doppio filo con quella della Sardegna. Il dibattito sulle sue origini è ancora vivo, con due correnti di pensiero che si scontrano: la prima vuole che siano stati i romani a portare la ricetta di questo dolce, avendone appreso la tecnica dal popolo dei Sanniti. Questa teoria trova conforto nel fatto che la tradizione sannita vuole l’utilizzo del miele (non conoscendo ancora lo zucchero), esattamente come si usa in Sardegna.
La seconda dice che la ricetta del torrone fu portata in terra sarda dagli Spagnoli, i quali a loro volta ne appresero i trucchi dagli arabi.

Anche la palma di “torrone sardo per eccellenza” è ancora oggi fonte di dibattiti: le due cittadine che si contendono questo onore sono Tonara (in provincia di Nuoro, nel centro della Sardegna) e Pattada (in provincia di Sassari, nel nord).

In generale, comunque, il torrone sardo viene prodotto in diverse zone della Sardegna: dal Campidano alla Barbagia per arrivare al Logudoro. La ricetta-base è sempre la stessa, le varie versioni cambiano solo nell’aggiunta di sapori particolari come agrumi o spezie. Ma tutte hanno un tratto in comune: la consistenza particolarmente morbida e il colore avorio, che lo differenzia da altre versioni (come ad esempio quella di Cremona, anch’essa famosa in tutto il mondo).

Il torrone, secondo le antiche tradizioni sarde, veniva preparato dalle donne, dentro un paiolo di rame piuttosto grande (su gheddargiu, in dialetto sardo). La preparazione prevedeva lo scioglimento del miele attraverso un lungo mescolamento con un bastone in legno (sa moriga) di erica o di corbezzolo, due piante tipiche di queste zone. Il fuoco veniva alimentato da legna di agrifoglio, che ha una caratteristica molto particolare: non fa fumo!

Una volta squagliato, a fuoco spento venivano aggiunti gli albumi, continuando a mescolare per circa mezz’ora. Successivamente il paiolo veniva rimesso sul fuoco, mescolando nuovamente per almeno altre due ore. Dopo questo lungo processo, venivano aggiunti succo di limone e la frutta secca, a seconda del tipo di torrone sardo che si voleva cucinare.

Il torrone sardo infatti si può fare con le mandorle (turrone de mendula), con le nocciole (turrone de linzola) o con le noci (turrone de coccoro).

A differenza del Nord Italia, il torrone in Sardegna si mangia in estate. E’ cosa comune vedere alle sagre paesane, che si svolgono tra giugno e settembre, quintali di torrone, venduti dai torronai, che una volta venivano chiamati scarratoneris, come il carretto che veniva utilizzato per spostarsi.

Ecco un video de La Bottega del Torrone, un’azienda artigiana leader nella produzione del torrone sardo, che fa vedere le tecniche di preparazione attuali, che coniugano perfettamente la tradizione con l’innovazione:

Altri dolci sardi

Sono decine i dolci tipici della Sardegna, e variano da zona a zona. Sono tutti gustosi e saporiti, assolutamente da provare!

Le seadas

Le seadas sono un piatto di origine spagnola a base di semola e formaggio fresco acido (meglio se pecorino), conditi con zucchero o miele. Questo piatto è originario in particolare nelle zone di pastorizia, essendo una pietanza a base di formaggio. Una volta le seadas erano concepite come un piatto unico, essendo ricco di calorie.

Si tratta sostanzialmente di un disco di pasta chiusa, con dentro il formaggio: una specie di “panzerotto dolce”, che viene fritto in abbondante olio bollente. Successivamente si spolvera con zucchero o, più tradizionalmente, miele. Le seadas si devono consumare fresche, per fare in modo che la sfoglia non si secchi.

Le pardulas

Le pardulas, chiamate anche formaggelle, sono un dolce che tradizionalmente viene preparato in periodo Pasquale.
Sono delle morbide tortine di pasta croccante, ripiene di ricotta (le più delicate) o formaggio, all’aroma di limone o di arancia. In alcuni casi vengono insaporite anche con l’uvetta.

I papassini

Tradizionalmente sono preparati per la ricorrenza di Ognissanti. Sono fatti da un impasto di pasta frolla e uva passa, mandorle, noci, scorza di limone (o arancia) grattugiata e miele, e cotti al forno ad una temperatura di 200°.

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Ogni paese dell’Isola prepara il dolce in diversi modi e gli ingredienti variano a seconda della regione storica ma sempre con la costante presenza dell’uva passa. La loro preparazione è legata alle ricorrenze autunnali, periodo nel quale l’uva passa raggiunge la maturazione.

Le copuletas

Le copuletas sono tra i dolci sardi più conosciuti e sono originari in particolare della zona di Sassari. Sono delle paste di forma circolare, con il bordo leggermente ondulato e con un ripieno di marmellata, miele, mandorle e sapa: uno sciroppo ricavato dal mosto di uva, tipico della Sardegna.

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Il tutto viene poi ricoperto da uno strato di glassa e decorato con piccole palline di zucchero colorato.

La lavorazione delle copuletas è una tradizione casalinga, che si tramanda di generazione in generazione. La sua ricetta ha più di cento anni e, fin dalla sua creazione, non ha avuto sostanziali modifiche. Come la maggior parte dei dolci sardi, anche le copuletas si cucinavano in occasione di feste religiose, in particolare matrimoni e battesimi.

Gli acciuleddi

Gli acciuleddi sono un dolce tipico della Gallura, una delle zone più “storiche” della parte nordorientale della Sardegna. Tradizionalmente si preparavano in occasione del carnevale.

Si tratta di croccanti treccine di strutto fritte e ricoperte successivamente dal miele. Una bella “botta di vita” calorica, ma sicuramente molto gustosa!

Un dolce al cucchiaio con la fregola

La fregola si usa soprattutto per preparare dei buonissimi primi piatti ed è molto versatile, ma avete mai pensato di usarla anche per i dolci? Si può usare, per esempio, per una specie di finta seadas: basta cuocerla per nove minuti con due cucchiai di zucchero ed estratto di vaniglia, nel frattempo si sciolgono in una casseruola dei lamponi con lo zucchero a velo e con del succo di limone, poi li si filtra per eliminare i semi. In seguiti si scola la fregola, la si spadella con la salsa ai lamponi e alla fine la si impiatta mettendo in ogni piatto due cucchiai di fregola, un po’ di ricotta fredda e un po’ di miele caldo. Si ottiene un dolce al cucchiaio originale, creativo e con un cuore sardo.

Non solo dolci! I distillati della Sardegna: il mirto di Sardegna e il “filu e ferru”

Fin dall’antichità, la coltura della vite è una tradizione molto sviluppata in Sardegna. Nel corso dei secoli, questa produzione si è continuamente sviluppata, arrivando a punti di eccellenza come il famoso vino rosso Cannonau e il vino bianco Vermentino, ideale per accompagnare i piatti di pesce.

Oggi però parliamo di due distillati tipici: il mirto di Sardegna e il “filu e ferru”.

Il mirto di Sardegna, che si può produrre sia bianco che rosso, è un liquore che viene ottenuto dalla cosiddetta macerazione alcolica di un misto di bacche e foglie della pianta di mirto, un arbusto molto comune in tutta l’isola. Comunemente questa lavorazione dà vita a un mirto di colore rosso, il più conosciuto. Il mirto bianco invece utilizza delle bacche depigmentate e giovani germogli e ha un gusto completamente diverso!

Per le sue proprietà organolettiche, il mirto di Sardegna si consuma generalmente alla fine dei pasti. Viene servito ghiacciato, direttamente da bottiglie conservate nel congelatore.

Il “filu e ferru” (filo di ferro) è un’acquavite ottenuta distillando vinacce sarde di altissima qualità (in particolare di Vernaccia). Il prodotto finale è molto forte: spesso ha una gradazione alcolica che supera i 40 gradi. Storicamente si usava produrlo nella zona di Oristano.

L’origine del nome è molto simpatica: quando nell’ottocento il filu e ferru veniva prodotto clandestinamente (a causa dell’alta tassazione del Regno), si usava nascondere le singole bottiglie sottoterra, legate, appunto, a un filo di ferro che spuntava dal terreno per non rischiare di perderle. Prima di essere consumato, il distillato viene tenuto per un anno in botti di legno di rovere.

 

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